STORIA | Collana “Orme di storia”
Terme Vigliatore tra antiche vestigia, riverberi di storia e cultura contadina
di Tindaro Porcino
Presentazione a cura dell’Autore
Da tempo mi ero proposto di raccogliere in un volume, anche modesto, il frutto dei miei studi e delle mie ricerche sugli aspetti che caratterizzano il territorio e la Comunità di Terme Vigliatore. Però, circa tre anni fa, determinate circostanze mi avevano fatto desistere dal mio proposito, pur avendolo così tanto accarezzato.
Ho riflettuto a lungo, fino a maturare la convinzione che niente può mai condizionare il temperamento di chi aspira tenacemente a far crescere la conoscenza attraverso la libera espressione della propria creatività e professionalità acquisita. Infatti, la cultura non può temere ostacoli, ma con fermezza e spirito di abnegazione, se occorre, deve andare sempre avanti, al di là di qualsiasi impedimento.
Così, ho deciso di dare compimento al mio proposito, attendendo a questo lavoro più che motivato dalla mia determinazione e lasciandomi costantemente guidare, proprio in nome e in funzione della cultura, dalla consapevolezza di dover salvaguardare e valorizzare un passato ricco di memorie. Tale scelta è indubbiamente volta ad impedire che esso possa disperdersi e cadere nell’oblìo in un’epoca storica, come la nostra, in cui impera un’umanità distratta e che ignora tutto tranne gli idoli dell’edonismo e dell’apparenza. Perciò, oltre al profilo urbano, ambientale e naturalistico, ho evidenziato l’importante retaggio della Villa Romana di Contrada S. Biagio, anche a testimonianza delle antiche culture che si affermarono sul luogo, nonché la laboriosità e l’identità spirituale della società contadina, proprio perché su di essa Terme Vigliatore fonda le sue radici e gran parte della sua economia. Tra l’altro, ho tentato pure di carpire l’interiorità del focolare domestico che per i contadini aveva lo stesso valore che per gli antichi Romani avevano gli dei Lari protettori della casa.
Per fare questo ho consultato vari testi, come in parte si può evincere dagli autori nominati, facendo tesoro dei loro contenuti, ma senza ricorrere alle citazioni tra virgolette per non condizionare quella mia inclinazione all’espressione libera, alla personalizzazione e coniazione propria dei concetti e del linguaggio. Ho anche intervistato diversi contadini anziani e vari informatori. Ho illustrato gli eventi, le risorse e le caratteristiche facendo uso di un’articolata documentazione fotografica non sempre di facile reperimento. Talvolta ho attinto pure da internet, ma mi sono soprattutto servito della mia formazione culturale e dell’esperienza perseguita negli anni, di una certa propensione e di un po’ di amore e passione.
Naturalmente non avrei potuto cogliere, rappresentare ed esprimere il vero significato delle cose, se non avessi trovato la disponibilità sia di gentiluomi che di gentildonne. Di tali persone, in parte ora defunte, alcune mi hanno riferito senza remore utilissimi dettagli o mi hanno dettato, recitato e cantato nel dialetto puro proverbi, preghiere e canti d’amore del tempo che fu; altre hanno anche rovistato nei loro cassetti, tirando fuori le fotografie del padre e della madre, dei nonni e dei bisnonni, degli zii e dei prozii, nonché di figure e di immagini interessanti appartenenti al passato storico; altre ancora hanno contribuito in modi diversi alla ricostruzione della storia del loro paese.
Mi riferisco in quest’ultimo caso al Personale della Biblioteca della cui preziosa collaborazione, grazie al patrocinio concesso dall’Amministrazione comunale, ho potuto beneficiare soprattutto riguardo alla scrittura informatizzata del testo ed alla paziente e ardua collocazione nei punti appropriati della documentazione illustrativa, selezionandola tra le tantissime cartelle in cui era stata inizialmente dislocata.
Pertanto, a parte il Sindaco con tutta l’Amministrazione comunale e le imprenditorie del luogo, ringraziare anche a nome di tutto il paese pure le suddette persone, che io reputo più che encomiabili proprio perché animate da un forte senso civico, è veramente ben poca cosa, ma oltre che manifestare ogni mia gratitudine non posso fare di più se non menzionarle con sommo compiacimento nell’apposito elenco posto in Appendice.
Fatte le mie premesse spero di aver colto nel segno e di avere fatto nei limiti delle mie possibilità cosa utile e gradita alla Cittadinanza di Terme Vigliatore, illustrando il vissuto storico del suo territorio in modo che essa possa trarne un vanto ed essere stimolata a perpetuare nel presente e nel futuro quella che fu la sua epopea.
Presentazione a cura di Giovanni Cipriano
Gli studi del dott. Tindaro Porcino, culminati nella pubblicazione di questo volume, rappresentano le coordinate storiche per ripercorrere il passato e rintracciare le trame che segnano il retaggio culturale di questo angolo del Mediterraneo.
Queste ricerche sono un grido che l’Autore si augura possa squarciare l’anima delle attuali generazioni, facendo sorgere quella curiosità che spinga a fuoriuscire dalla coltre di disinteresse che avvolge il letargo del XXI sec., per maturare una più profonda e piena consapevolezza che abbia come effetto la reviviscenza del senso di appartenenza e dell’istinto protettivo verso il nostro patrimonio culturale.
Le chiavi di lettura di questo volume non possono che essere gli stessi luoghi che come atomi di un reticolo cristallino formano il diamante in cui si contemplano le testimonianze di una civiltà scritta dietro di noi. Le acque termali, la Villa Romana, la chiesetta dei Benedettini, i Villini rosa rappresentano le tessere più notevoli del mosaico morfologico, archeologico e storico-architettonico di Terme Vigliatore.
Accanto a questo capitale materiale si cela un patrimonio di natura immateriale la cui sommessa e lontana esistenza viene rievocata. Così, non è stato tralasciato il comparto assiologico di valori, principi e costumi sociali che, permeati nella mappa genetica di questa comunità, fanno da corollario alla sua identità culturale. L’Autore si sofferma dettagliatamente sulle tradizioni popolari, ancestrali memorie indissolubili del vissuto della gente del luogo, raccolte setacciando i propri ricordi, consultando documenti d’archivio e soprattutto raccogliendo testimonianze di inestimabile valore, tramandate da alcuni capostipiti del luogo che hanno vissuto l’osmosi dal mondo rurale alla civiltà moderna. Ricordando le pratiche sociali della vita presso il contado, l’Autore ci canalizza nel mondo della cultura popolare: credenze, preghiere, orazioni, detti, canzoni, poesie e racconti sono certamente la traccia più orecchiabile dell’antica cultura locale. Questa è una parte a cui l’Autore mostra di tenere particolarmente. Trattandosi di un patrimonio non tangibile, tramandato oralmente di generazione in generazione, questo lavoro assume un ulteriore significato dato che apre ad un processo di cristallizzazione che ne evita la sua dispersione, rischio inesorabilmente amplificato dal fatto che l’interesse per la cultura popolare, negli ultimi decenni, per molteplici ragioni, si è nettamente affievolito.
A volte la cultura popolare è stata considerata solo un motivo di svago o di intrattenimento sociale, altre volte un’imitazione grezza della cultura d’élite. Questo ha significato degradare e svuotare della sua essenza una forma di cultura che invece sta a sé e delinea i contorni di una civiltà ancora genuina, spontanea e semplice che viveva in simbiosi con la natura, la più insostituibile tra le fonti in cui si intingono i pennelli della conoscenza. Una cultura che germogliava nei lavori dei campi e creava un ponte tra l’individuo e il mondo offrendo al proletario la possibilità di autodeterminarsi come persona. Idee e valori liberavano un respiro di piena vita, il cui soffio asciugava il sudore delle fatiche e accarezzava l’anima sviluppando vere e proprie forme di conoscenza. Talvolta poteva anche accadere che, tralasciando la forma del linguaggio, qualche passo di letteratura popolare non si discostasse poi così tanto dagli sviluppi cognitivi formulati dai grandi intellettuali. Tuttavia, questo potrebbe anche essere soltanto il frutto di una naturale convergenza tra due forme di cultura che interagiscono tra di loro e alle volte si influenzano pure, per la semplice ragione che entrambe traggono ispirazione dalle conoscenze empiriche sulle pratiche della vita quotidiana in cui si celano ideologie, sensazioni, sentimenti ed emozioni.
Terra e cultura: sono questi i termini che ricorrono costantemente in ogni passaggio del testo quasi come se facessero da vessillifero all’intero itinerario storico-culturale. Le stesse figure di contadino e intellettuale, che nella società contemporanea sembrerebbero poste in antitesi, dimostrano invece di avere un legame regresso che possiamo recuperare attraverso l’etimologia della parola cultura. Essa deriva dal participio futuro del verbo latino còlere il cui significato è coltivare e che in senso figurato vuole esprimere l’idea della cura assidua, della fatica e dell’attenzione che bisognerà avere per produrre conoscenza e farla crescere, pari appunto a quella usata nell’attività agricola. Al di là della similitudine si percepisce tra terra e cultura un fondamento teleologico comune che sfocia nel «far crescere qualcosa» e che relaziona le due cose creando una sinergia che nel momento in cui dovesse essere spezzata rischierebbe di non far nascere più nulla ma anzi di desertificare.
Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42) tratta la tutela e la valorizzazione dei beni culturali e dei beni paesaggistici facendo rientrare in questi ultimi “le cose che sono espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio”. Non è un caso che entrambe le tipologie di beni, sul paradigma dell’art. 9 della Costituzione, siano trattati in tandem. Infatti, se da un lato la cultura è un insieme sistematico di conoscenze, dall’altro lato il paesaggio non è soltanto una fresca e serena cornice della quale poterne fare a meno, ma è esso stesso generatore e diffusore di tali conoscenze. In questa prospettiva la cultura costituisce come un collante che aderisce al territorio e crea uno strato unito ed inviolabile. La cultura ed il paesaggio rappresentano così le due componenti di un’endiadi inscindibile, in cui ogni cosa di interesse storico e artistico è strettamente annodata in un legame intimo con il territorio in cui è stata generata: territorio che la arricchisce di un valore incommensurabile, attribuendole un’identità autoctona e contestuale al suo segmento di collocazione spazio-temporale. È proprio dalla visione dell’ambiente circostante che si possono notare i segni del tempo e si può dare una lettura storica, antropologica e archeologica dei beni culturali in esso presenti. Tutelare il territorio e preservarlo da quelle infiltrazioni che potrebbero causarne cicatrici indelebili, oltre che espressione della tutela normativa verso l’ambiente, diviene una questione vitale proprio da un punto di vista culturale se si vuole custodire la cultura che esso ha generato nel tempo.
La terra, con tutti i suoi trapassi storico-culturali inscritti nei suoi solchi, rimane il fondamento sostanziale di ogni edificazione. L’azione amministrativa dovrebbe calare in essa le proprie radici e farne dei suoi canali il tramite attraverso cui portare alla corteccia della società civile la linfa della sostanza sottostante insita nel flusso universale della bellezza comune: sostanza che attende solo di essere trasposta, di prendere forma ed essere rivelata alla collettività.
Contestualmente, alla luce degli interessi sociali comuni alle generazioni, emerge l’esigenza di aprire sul mondo una finestra di riflessione ed incoraggiare il cittadino al progressivo rafforzamento dello spirito di rispetto e di salvaguardia del territorio proprio perché, a voler ripercorrere le orme della tradizione, la terra non è un’eredità dei nostri padri, ma un prestito che un giorno dovremo restituire ai nostri figli.