Premio ULTERIORA MIRARI – Monografie – Terapie a rischio Roberto Ranieri

10,00

Premio ULTERIORA MIRARI | Monografie
Pagine: 102
ISBN: 978 88 6300 045 0
Edizione: ottobre 2011
Ristampa: dicembre 2011
Euro: 10,00
Formato: 15×21 cm

Esaurito

Premio ULTERIORA MIRARI – Monografie

Terapie a rischio

di Roberto Ranieri


COPIE ESAURITE DI QUESTA EDIZIONE


Dalla “Nota”

Se in poesia vale l’arte di far urtare e riconciliare gli estremi, magari nello spazio di poche sillabe, con i poli io-mondo e vita-morte a regolare il traffico, nel racconto breve il ring dello scontro può dar vita a un corpo a corpo più fluido, cavare dalla moviola dei colpi sprazzi e intrighi di contiguità più complesse, seppure per ulteriore contrasto. In prosa, deposti i guantoni e abbassando la guardia all’esca più empatica di una “storia” o di un monologo, ogni miniatura può tentare nuove trasparenze oltre il cristallo ambiguo degli ossimori, sciogliere principali e (in)subordinate, allegorie e sintomi, humour e rumours d’oltremondo, nei registri narrativi utili al caso. Ed ecco che psichiatri psicotici, insegnanti orfani del soggetto, allievi ufficiali depressi, uxoricidi premurosi, pazienti impazienti, conferenzieri dislalici, highlanders caduti in disgrazia, campioni di presunte normalità e quotidiane vertigini, popolano un campionario variegato di resistenze – desistenze al Mal-essere (…)

Testi

V – Il sicario troiano (incipit)

Il professor L’Aura, quando apriva bocca, ci si metteva d’impegno: «Sapete, la virtù della poesia…», e via con una sequenza di “che”, fra subordinate, coordinate, congiuntivi; ma si perdeva facilmente, e così rimediava sempre allo stesso modo: «Altrimenti detto: io credo…» Siccome non ricordava mai il soggetto della frase che cominciava, per perdersi nel caos fuori controllo della sintassi, quell’intercalare gli assicurava il reset salutare della grammatica: «Altrimenti detto: io…», e ripartiva. L’io garantiva sempre, detonatore da innescare sul timer a rischio di ogni nuova frase, sperando di arrivare alla fine. Ma un giorno, persosi come al solito in divagazioni causali e relative, “posto che”, “con il quale” e via di seguito smarrendo il filo, qualcosa andò storto; l’io del reset non usciva. Pareva scomparso. E non era la semplice amnesia di cui ciascuno in vita può far prova, che colpisce a capriccio nomi o aggettivi, o anche verbi; qui il vuoto centrava la prima persona, la garanzia di ogni percorso verbale presente, passato e futuro. L’ “io” pareva sparito, irrecuperabile. «Altrimenti detto…» e silenzio tombale.

Così, dopo giorni di repentini vuoti e sbandamenti, in un discorso divenuto sempre più insicuro, il professor L’Aura decise di affrontare seriamente la situazione. «La mia persona», confidò al collega di matematica, «che da un po’ nei discorsi non è più prima ma terza, ha bisogno di un periodo di riposo, specie insegnando italiano e materie umanistiche in un liceo, posto che di tanto in tanto riposare dovrebbe essere obbligatorio per tutti in questo oscuro tempo… Altrimenti detto:…» Ammutolitosi, si ricordò di aver chiuso la proposizione principale, e tirò un respiro di sollievo nel poter lasciare in ordine, una volta tanto, le subordinate al collega e alla grammatica.

Dopo qualche tempo, dato che la situazione non migliorava, il professor L’Aura decise di prendere appuntamento con il miglior psicologo logopedista in circolazione, il dottor Amurri, per esporgli il suo problema. Il giorno stabilito si era portato dietro una serie di foglietti compilati con cura, da presentare in caso di blocchi improvvisi della parola; così, prima di accomodarsi sulla poltroncina dei colloqui, li dispose con ordine sulla scrivania del terapeuta. «Sa, la mia persona assume che, in caso si ripresentasse il blocco che assilla sé medesima, e venisse a mancare la parola che presenterà ora il caso alla sua attenzione in ogni dettaglio… Altrimenti detto: …» Ammutolitosi al primo intoppo, consegnò allo specialista il biglietto numero uno.

Il dottor Amurri lo sbirciò con sufficienza, passando poi in rapida successione tutta la serie di dieci; al quarto gli angoli della bocca gli si distesero in una strana smorfia, per poi ricomporsi al sesto nella solita maschera inespressiva. «Un altro caso di egoctomia. Sono sempre più frequenti», sentenziò con tono grave.

Il professor L’Aura ritrovò di colpo la parola, sgranando gli occhi: «Dottore, è curabile?»

L’altro lo fissò pigramente da dietro le lenti, riponendo il mucchietto di fogli in una cartella.

«Dipende. Lei ha fatto abuso dell’io, ultimamente? »

Il professore provò a farfugliare qualcosa, quindi prese a negare, scuotendo orizzontalmente il capo.

«Ora apra la bocca, tiri fuori la lingua… Sì, eccolo lì, l’arrossamento… lei ha perso diversi fonemi, ultimamente, ha le papille irritate. Deve fare attenzione, parlare va bene, ma nelle sue condizioni non può certo strapazzarsi in questo modo.»

«Vede, dottore, la mia persona…»

(…)

IX – Il velopendulo

Il professor Federici era famoso per i suoi aforismi. Filosofo di una scuola tutta sua, lo invitavano spesso a incontri e convegni; nell’ultimo, esordì con una delle sue massime così cariche di significato: «Il centro del mondo è inequivocabilmente faringeo, ogni cosa pensa se stessa nel tintinnio iugulare di vocali e consonanti.» Dopo l’ultima sillaba deglutì, allentando i muscoli del collo sulla contrazione dell’esofago; provò poi a riespandere il diaframma per riprendere il delicato ragionamento, quando l’attacco della frase successiva, sul tema della res cogitans, gli rimase impigliata in gola; gli occhi gli strabuzzarono all’indietro, e dopo qualche attimo di esitazione, nello sconcerto dei presenti, cadde dalla sedia con un tonfo. «Un dottore!» gridò qualcuno dal palco. «Presto, un bicchier d’acqua!» fece un altro, però l’acqua non faceva effetto, gli gorgogliava in gola per poi uscire schiumando bava ai lati della bocca.

La situazione stava precipitando. Uno studente di medicina gli tastò il polso: «Per me è un infarto», disse. «Non respira. Magari è un ictus», gli fece eco un altro. Uno studente del corso di Fonologia, che aveva seguito tranquillo la scena, arrischiò una sua idea: «E se fosse il velopendulo?» Estrasse dal taschino il suo registratore portatile, pigiò lo stop e poi il rew per cinque secondi, quindi al clic d’arresto riavviò il play dall’inizio. Al cigolio del nastro seguì un lungo ronzio di fondo, interrotto solo dal sonoro starnuto del prelato in seconda fila.

Il professor Federici ebbe un sussulto, poi aprì lentamente gli occhi. «Cosa è successo?» «Un mancamento, professore, vedrà che ora si riprende » fece il primo studente. «Sì sì, una vertigine passeggera», gli fece il secondo. «A esser precisi, è una cosa da Nulla», aggiunse il fonologo in erba, mentre riavvolgeva il nastro. «La prossima volta professore, quando esprime un concetto o un aforisma sull’essere, le consiglierei almeno di fare uscire qualcosa.»

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