Descrizione
Collana | Orme di poesia
“Acrobazie per gli ospiti” di Isidoro Aiello
Prefazione
Il poeta e la sua opera vivono in una condizione di eterna giovinezza. È così anche per Isidoro Aiello e per i suoi versi. Come in Callimaco, come in Kavafis, traspare in lui la luminosa capacità di raccogliere un intero mondo nel volgere di un breve giro di versi. La realtà si fa immateriale, e allo stesso tempo si afferma viva e pulsante, si scompone e ricompone nel gioco demiurgico della creazione artistica. Vengono evocate creature di sogno che emergono ancora una volta da antichissime
spume mediterranee, venute a visitare l’artista, un po’ stupito un po’ scettico, da una dimensione altra. Il naturale e la sua contemplazione, l’innaturale che abita in ciascuno di noi e la sua spietata disamina, si coniugano in versi che hanno un sapore di sublime arcaismo. E proprio per questo sono di sconcertante modernità. E di smisurata bellezza.
L’acrobazia evocata dal titolo è sottesa in ogni componimento della silloge, mentre vediamo apparire sotto i nostri occhi prodigi e i nostri sogni vagabondi si distendono su un mare onnipresente. Anche le periferie, l’esser nati dal lato sbagliato della storia, si fanno avanti ed esigono il centro della scena. Sempre più cangiante, sempre più abitata da enigmi e sguardi in tralice.
La poesia, dunque, diventa bussola per il viaggiatore che non si ritrova, che solo ripiegandosi su se stesso trova la mappa del suo itinerario emotivo. Il dubbio,
l’inquietudine, il desiderio di un oltre e di un altrove attraggono l’artista come una scatola magica attrae il fanciullo con il suo caleidoscopio di immagini. Di qui il costante invito a non rimanere, a non perdersi, a seguire tracce e orme di una dimensione altra, più vera, più pura.
Costante è il ritorno alla natura, contemplata nelle sue manifestazioni più sommesse e in quelle più poderose, e sempre si giunge alla soglia iniziatica dove dobbiamo immergerci in un bagno lustrale, come un iniziato ai misteri lasciare che le acque scorrano su di noi e ci rendano pronti a un attraversamento. Sembra di sentire ancora, nel respiro univoco che percorre tutto il libro, l’anima del devoto che nella Delfi del V secolo a.C. si reca a consultare l’oracolo apollineo, e torna a casa rinnovato con una manciata di versi enigmatici in tasca, appena pronunciati dalla Pizia abitata dal dio. Solo nella poesia come arte mantica si trova la possibilità di non rinunciare del tutto a se stessi, di non smarrirsi in un universo in cui causa ed effetto sembrano divertirsi scambiandosi i ruoli. Nel caos del creato, allora, è la creazione artistica a rettificare gli abbiocchi di divinità sempre pronte a presentarsi sotto forma di soli imponderabili e lune che ridono di noi, naviganti senza nave e senza mare. E tuttavia sempre e perennemente naviganti.
Prof. Nicola Russo
Postfazione
Nonostante la poesia sia stata uno dei pilastri portanti del nostro patrimonio culturale librario, ci sono stati sorprendentemente pochi tentativi da parte della scrittura odierna di immergersi nel suo valore. Se si volge lo sguardo al panorama editoriale attuale, infatti, pare che fin troppe volte la poesia abbia abdicato – cedendo il suo privilegiato posto – a favore della crescente narrativa quale strumento per raccontare, descrivere, rappresentare. Tuttavia, i più non dimenticano il tempo in cui la poesia è stata Caronte, capace di traghettarci in intimi sentieri, dove sentimenti struggenti, mal di vivere e un’invincibile malinconia costellavano il percorso.
Così è Acrobazie per gli ospiti, un magnifico volumetto che rappresenta la giusta punteggiatura ad un discorso poetico mai interrotto da parte di Isidoro Aiello.
Fin dalle prime liriche si può intravedere qualche scampolo di γνώμη, ad indicare strumentalmente che la poesia può mostrarsi ora come dolce assoluzione, ora come spietata sentenza. Nessun autobiografismo romantico segna la nuova raccolta del nostro poeta, neanche questa volta. Né i versi sono claudicanti, pur presentando talvolta incertezze d’amore (corro il rischio), altre volte sicurezze sul binomio noi (la periferia dei nostri cuori / ci guida calma).
Ed è proprio il noi che appare inedito rispetto alle precedenti pubblicazioni di Isidoro Aiello, rischiarando ogni eventuale dubbio sul movimento in avanti della sua poetica. Sono ormai superati i germogli della tenerezza, del fuggevole inizio d’amore, della concessa fiducia, dell’attesa struggente dei primi incontri. Adesso il rapporto si rassetta nella posizione dell’attenti, quasi a volersi mostrare sotto una veste più matura e, a tratti, severa. Ma la corona che dà potere e pace è bugiarda, perché la vita è sì un avvolgibile, ma a volte fa cilecca nonostante la possanza.
La poetica di Aiello attinge ancora all’ermetismo. In Acrobazie per gli ospiti – come, invero, nelle altre raccolte – non c’è fanatismo poetico, né calligrafismo. La nostra lettura dei versi del poeta è una finestra che si affaccia su un’operazione di scandaglio interiore, ma stavolta non si schiude, perché è già visibile agli occhi di chi vuol guardare davvero. Ogni verso è uno squarcio sulla realtà, senza facili lirismi, ma ornato di aggettivi che sminuzzano il tempo, in un dialogo conoscitivo con un lettore paziente, che accoglie il silenzioso rumore del dolore, della disillusione di un poeta che non fugge più dalla realtà, per quanto dolorosa essa sia, ma si immerge e ne resta pienamente dentro. Cenni di pessimismo lucreziano si intravedono, anche se per Isidoro Aiello la natura resta perlopiù madre benigna. Lo stesso
mare, per esempio, diviene all’occorrenza una bocca aperta che inghiotte, come la rete fa con i pesci che cattura e non lascia più andare, altre volte uno spazio calmo, come una confortevole e concava carezza. E forse è lo stesso poeta a sospirare, in attesa di una verità d’amore.
Nella raccolta eccellentemente funanbolica, come il titolo capace di rimandare acrobazie linguistiche suggestive, rivediamo anche i luoghi, non però nella loro misera o magistrale architettura, ma ancora una volta filtrati dallo sguardo del poeta, che ne coglie una parte e il resto lo lascia andare via.
Nella seconda e ultima parte della raccolta, nonostante i tentativi di licenziare un noi spesso stretto e asfittico, la relazione turbolenta ritorna, soprattutto per ricordare che all’amata manca il coraggio di dire di no e quindi lascia languire, in un limbo spesso costellato d’assenze, un amore che aspetta il suo tardivo compimento. Ed è quel limbo in cui forse è meglio lasciare tutto al caso / perdere la bussola / non raccapezzarsi / piegarsi su se stessi, perché l’amore pare mostrare un ghigno pallido, un atteggiamento fintamente innamorato, un pianto falso, che scurisce il cuore affranto su cui ricade.
La nuova raccolta poetica di Isidoro Aiello non lascia scampo all’indulgenza, è come se questa volta ci fosse una resa dei conti dentro un perimetro che ha ridotto i margini, costringendo lo sguardo a ritrovrarsi nonostante la fitta nebbia. L’amore in fondo è un mercante, con una borsa piena da svuotare, di sentimenti e tenerezze, tutte quelle mancate, anche se promesse.
Le corazze esistono per essere schiuse, come il picchio che batte sulla corteccia nella magnifica poesia “Picchio”. Si tratta di una grande metafora per rappresentare, semmai ce ne fosse ancora bisogno, la capacità dell’amore di schiuderci, aprirci alla luce e cancellare ogni sospetto sul meritato o meno sentimento. Se non fosse, però, che il dubbio ci attorciglia, frena il cuore in sincopi, ci dilania in mezzo al mare dei sé. Il poeta spera di dimenticare tutte le volte che l’amore è stato bugiardo, un rosario di promesse mancate, sottratte alle mani e alle speranze, per restituire a se stesso un luccicante animo.
La vita, alla resa dei conti, è una corrida in cui veniamo ripetutamente raggiunti e graffiati, anche se proviamo a fuggire, a metterci al sicuro, a ripararci dalla crudeltà. Isidoro Aiello forse spera in un atterraggio morbido, mentre la ventola dei sospiri attarda il suo spegnimento. E chissà se il poeta si lascerà andare, si farà azzuffare ai bordi del sentiero dei ricordi. Sono proprio questi, silenti ma crudeli, che bussano alla memoria e ci catapultano in un mondo sconosciuto, mentre restiamo dentro uno stormo di spaesate / rondini girovaghe / vorticanti. Si tratta di un lampo, prima della morte, lo struscio del ricordo, il rumore
dell’acqua, il sospiro delle speranze. Se non fosse una freccia che ferisce (Non dimenticare / prima d’andar via / di passare il chiavistello / del tuo cuore elettronico / un cuore impeccabile / in vendita per tutti), questo amore si compirebbe e si darebbe alla persona amata, concedendo tutto di sé: dalla bocca al ventre, passando dal cuore.
Giulia Carmen Fasolo
Note biografiche
Ha pubblicato diverse sillogi. Per Il Girasole Edizioni L’essenziale (2004), Colombe vittoriose (2007), Tela di ragno (2011); per il Gabbiano Clessidre (2009); per le Edizioni Smasher Chitarre ritrovate (2013); per Le Farfalle Il mare di Senofonte (2015), Poesie scelte (2016), Crittogrammi (2019).