Gli scogli sono come le nuvole di Orazio Carnazzo

12,00

ROMANZO | Collana “Orme di inchiostro”

Pagine: 160
ISBN: 978 88 6300 163 1
Edizione: settembre 2016
Euro: 12,00
Formato: 15×21 cm
Rilegatura: brossura fresata a folio

ROMANZO | Collana “Orme di inchiostro”

Gli scogli sono come le nuvole

di Orazio Carnazzo


Prefazione a cura di Angela Manca

Non è mai semplice scrivere di un libro, presentarlo, individuarne la giusta chiave di lettura per poi offrirla ai lettori. Non lo è affatto. Non lo è sopratutto per chi, da lungo tempo spettatrice di una società altamente inquinata dall’egoismo e dalla malvagità, vive la propria condizione esistenziale in preda a pulsioni accese e spente allo stesso tempo: quelle delle disillusioni, della rabbia, del dolore, del silenzio.
Come se il corredo variegato dei sentimenti umani, del bene e del male, in tutte le più sottili sfaccettature si sia di-svelato nell’arco di una vita per poi sostare in una sorta di limbo per certi aspetti avulso dalle emozioni. Però gli orrori e gli eccidi che giungono all’ora di pranzo dai confini del mondo, l’inarrestabile cancro della corruzione dilagante e la conseguente indifferenza generale per la stessa, la crisi del sistema giustizia, l’assuefazione popolare verso ciò che è negativo costituiscono solo alcuni dei parametri sociali che “forzano” gli spiriti più sensibili alla ricerca di dimensioni più isolate cui sfamare lo spirito famelico di positività e idealità.
Il male del mondo impone, forse a pochi la costruzione reale e ideale di un “topos” gravido di virtù o condizioni in cui l’anima possa rigenerarsi e appagarsi; un eden artistico, relazionale, professionale, fisico che possa fungere da antidoto al baratro, senza vie d’uscita, cui sembra essere approdato il Millennio.
E la lettura del libro di Orazio Carnazzo mi ha fornito la piacevole sensazione di attraversare uno spazio, una via, un giardino di quella idealità cui l’autore tende; è come essere trasportati improvvisamente, quasi per magia, in un mondo fantastico, da fiaba. Di colpo. Ad ogni buon conto, riflettendo su ciò che la lettura disvela, appare in tutta la sua inquietudine la consapevolezza che quelle frasi, quelle idee siano “sinonimi” e non realtà d’insegnamento cui tutti indiscutibilmente “dovremmo” tenere presente. Ovvero la prova incontrovertibile dell’esistenza del male, della sofferenza per le cose del mondo, quale condizione quasi insanabile.
Baricentro della riflessione sono alcuni nuclei tematici abilmente enucleati: la condizione dell’eremita, la solitudine, la meditazione, l’esigenza paradossale della dinamica relazionale.
L’incipt è dato dall’eremita Girolamo, essere in solitudine che, nel silenzio della sua grotta situata in montagna, guarda dall’alto e in lontananza il minuscolo villaggio sottostante.
Il bene, ci vuole sussurrare Girolamo, sta in alto, nella solitudine che ci consente di meditare e percepire la presenza della Trascendenza; mentre il male, che scaturisce dalla società è da luogo alla ricchezza e alla povertà, sorge proprio dal vivere insieme. Il rapporto tra il bene e il male che schiude nell’incrocio delle coordinate topografiche, l’alto e il basso, e nella dinamica orizzontale delle relazioni umane.
La solitudine è una condizione per certi aspetti contraddittoria: si rifugge dalle relazioni sociali intignanti che minano l’equilibrio dell’uomo ma senza l’esasperante e antitetico termine di paragone (l’altro) non sarebbe necessario ricercarla. Pertanto, c’è solitudine là dove si innescano le tensioni sociali. E Girolamo, per certi aspetti, incarna questo paradosso, patendo il bisogno siderale di comunicare con altri, persino con la sua ombra, con se stesso.
L’avvicinarsi del pastore disvela un modus relazionale di sguardi più suggestivo di qualsiasi altra forma linguistica, scorse che sono più comprensibili di qualsiasi altra favella.
A poco a poco Girolamo comprenderà che il contatto umano è anche necessario per rendersi utile al prossimo e diventa insegnante per il pastore.
L’episodio di Francesco Principato, di contro, portavoce del Papa Clemente VI, dimostra che anche nei partiti politici e spesso nella stessa chiesa si trovano corruzione e collusione. E qui si potrebbero scrivere tomi, per la delicatezza della questione e per l’abbondanza di spunti che, dalla notte dei tempi ad oggi, l’essere umano ha fornito.
La cronaca attuale, del resto, gli scandali dei porporati e dei preti pedofili, l’ingerenza ecclesiale su alcune tematiche socio-politiche comprovano le anomalie che serpeggiano all’interno di questa Istituzione e allontanano, sovente, i fedeli dall’autentico Vangelo di Cristo di cui si sente, sempre di più, vitale e autentica propensione.
La stessa “Democrazia Cristiana” che di “Cristiano avesse solo il nome”, così Papa Giovanni XXIII, ha persino incarnato una sintesi per certi aspetti funesta di “solo imbrogli, intrallazzi e anche sottovalutazioni dell’esistenza della mafia in Sicilia”. Il Santo padre definì partecipanti a questo partito “atei devoti”. Come il fumo salendo dal basso avvolge tutto ciò che sta in alto, così la corruzione e la collusione coinvolgono le Istituzioni, la Magistratura e anche lo Stato, alimentando le metastasi di una cancrena sociale inarrestabile, marchiando l’isolamento degli umili, certificando la sfiducia in un sistema-giustizia sempre più al collasso, incomprensibile dai cittadini. Tutto ciò che di cattivo esiste in uno Stato passa sotto silenzio: “non ci sono chiarimenti e nemmeno smentite, ma totale silenzio”.
Francesco Principato, uomo onesto e di integerrima correttezza morale, vive isolato e lontano dal resto della società, eremita moderno, Girolamo redivivo. Casa sua è lontana dal mare e dalla montagna, avvolta in una nuvola come protetta dal resto del mondo e sopratutto dal male esistente.
Da solo e con la sua bici, percorrendo una strada dove le macchine non possono transitare, sale in cima alla montagna e assapora il silenzio; quel silenzio puro che dà l’idea della vera tranquillità d’animo e della purezza interiore che tutti dovremmo possedere. E come Girolamo, incontrando un pastore, comprende la necessità delle relazioni umane e il lato oscuro della solitudine, così Francesco Principato dipana nelle sue riflessioni una analoga considerazione.
Il cardinale Alberto Maio, dal canto suo, sceglie il mare come luogo del suo isolamento. La sera cala l’ancora e si ferma in qualche baia, porto sicuro dal male del vivere. Scorge in lontananza le luci dell’uomo, ma vive la sua “apparente” serenità. Quella è per lui l’essenza della solitudine, la corazza dal maligno, lo scudo nella crociata sociale, l’elmo contro la falsità.
Alberto vuole sentire la presenza della gente, ma nello stesso tempo vuole tenerla lontano: in essa è il male. Ma il contatto con l’umanità è indispensabile anche per lui.
È la presa d’atto, l’ennesima, dell’impossibilità di fuggire dal mondo. Una verità, oggi, resa fondamento dalla strutturazione globalizzata del mondo. Il villaggio è globale. La solitudine, forse, virtuale. La convivenza forzata e obbligata con il male, di contro, è ritenuta certezza!
I diversi episodi mettono in evidenza che appesi alle pareti delle case o grotte dei personaggi si palesano due quadri che rappresentano il Santo eremita Girolamo, l’uno, il Papa Giovanni XXIII, l’altro.
Una visione dicotomica dello sguardo sul mondo: l’eremita Girolamo è l’asceta che abbandona il mondo per vivere lontano dal male che serpeggia nell’animo umano; Papa Giovanni colui che coglie l’invisibile, la fiamma ovvero la bontà del contesto buio del mondo, elevandola a strumento di irradiazione del bene supremo verso ogni latitudine, anche la più remota e inaccessibile quale imperscrutabili anfratti del cuore umano.
Il rapporto dell’uomo con il suo simile ha sempre condizionato la storia del mondo nel bene e nel male. La realizzazione di una società ideale, quasi perfetta, è un’utopia ancora lontana dalla sua concretizzazione. Gli egoismi dell’animale razionale hanno sempre preso il sopravvento sull’interesse dei più, inclinando il senso stesso dell’esistere su orizzonti di dolore e sofferenza. La missione civilizzatrice degli spiriti semplicemente più onesti è una delle poche certezze e speranze cui far fede nella giungla sociale cresciuta a dismisura nel mondo di oggi; un mondo che non sembra voler apprezzare la lezione della Storia. Chiudo questo mio contributo con una citazione di Papa Giovanni XXIII quale auspicio a restar sempre ancorati alla certezza di un domani migliore: “quando ritornerete a casa fate una carezza ai vostri figli e dite loro che è stato il Papa a dargliela”. Da ciò si può dedurre che all’isolamento individuale è più conveniente contrapporre l’onesta relazione con i propri simili, cercando di tirar fuori tutto ciò che di buono in noi per natura esiste e non è ancora estirpato.
L’altruismo è una condizione imprescindibile per avere garantita, quanto meno, la primordiale sopravvivenza esistenziale.
I parametri della qualità della vita, agli albori di questo nuovo Millennio, sono ancora molto lontani all’orizzonte.

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