POESIA
Inchiostri d’arance e di minuti persi
di Monica Musolino
Nota biografica
Monica Musolino nasce a Messina il 28 novembre 1977. Dopo la formazione classica, si impegna negli studi socio-politici, conseguendo la laurea in Scienze Politiche presso l’Università di Messina. Prosegue la sua formazione con un dottorato in Analisi e Teoria del Mutamento sociale, che la porterà a un’importante esperienza personale e di ricerca nella città di Parigi. Concluso regolarmente il percorso di dottorato, continua la sua attività di ricerca in ambito sociologico all’Università di Messina, con un assegno di ricerca in Sociologia dei processi economici.
I suoi interessi di studio sono prevalentemente rivolti all’analisi delle dinamiche urbane e socioeconomiche della contemporaneità, all’immaginario spaziale della Modernità, alla ricerca visuale, a un approfondimento degli approcci conoscitivi nelle scienze sociali.
Durante tutto il percorso di formazione universitaria e professionale non ha mai abbandonato la scrittura della poesia, grande risorsa creativa e salvifica, che accompagna i processi di conoscenza del mondo, le elaborazioni che ne conseguono e che non sempre trovano univoca via di traduzione nella sfera scientifica, dando forma e possibilità, da vent’anni a questa parte, alle varie declinazioni della sua sensibilità.
Prefazione di Giulia Carmen Fasolo
La prima verità su Inchiostri d’arance e di minuti persi è che si tratta del primo percorso poetico di Monica Musolino. Ma tale considerazione non diminuisce – tutt’altro! – la qualità dei versi. Questa raccolta poetica, senza voler forzare la lettura, può essere considerata in primo luogo un tragitto letterario appressato a quello intrapsichico e sviluppato nel corso degli ultimi diciassette anni.
La seconda verità è che l’incremento della condotta poetica è naturale nella trasmutazione dello stile e dei temi trattati, ed emerge lungo il verbo di inchiostro di tutte le poesie.
Proprio con l’aiuto di questi battelli di vita poetica (così mi piace definire la poesia della Musolino) è importante salpare per capire meglio l’ascesa e la crescita di ogni essere umano.
Con la prima sezione – Sogno. Inchiostri lunari – Monica Musolino stabilisce con decisione l’incipit dell’intera raccolta. Se si considera che nell’intera Silloge i due sensi più esplorati sono il tatto e l’olfatto, è evidente come sia ulteriormente naturale per la poetessa partire da tutto quello che in principio appare meno palpabile e quindi più nebuloso e immaginario (dentro noi, ma anche fuori).
Vengono attraversati – da parte a parte senza sconti di pena – le turbolenze, le necessità, le assenze, i movimenti (quasi tellurici) di cui l’emotività è vittima a ogni nuova conoscenza del mondo. Si giunge, forse nell’ultima sezione (Orizzonte con i suoi Inchiostri in movimento), a quel futuro diverso e spianato, ma che comunque non è definitivo (per evidenti ragioni), anche se certamente disegna per noi una nuova consapevolezza.
Ciò che mi sembra emergere, dalla suddivisione che Monica Musolino ha scelto per questa sua prima pubblicazione poetica, è il tentativo di dare un filo preciso al proprio percorso, di definirlo – per meglio riconoscerlo – e di rendere immuni i chiodi dell’angoscia.
Prima di proseguire nella lettura della Silloge, provando a delinearne la poetica, è importante porre un sereno, quanto certo, confine tra la sperimentazione letteraria e la classicità del componimento: la poetessa messinese è più legata a ciò che comunemente può essere definito poesia (per la forma, per la musicalità, per l’incisione e per la cadenza), piuttosto che alla sperimentazione perimetrale del verso, della suddivisione e della collocazione delle parole. Sono pochissime le eccezioni (due esempi: Per sbaglio e Ton nom).
Monica Musolino, nella sua scrittura, stabilisce – forse inconsapevolmente – la forma da dare alla sua poesia: meno breve, meno ermetica, più corposa e stilisticamente libera.
Fatta tale precisazione, il secondo elemento che dobbiamo prendere in considerazione nella lettura è l’altro, con il corollario di significati e significanti che la sua presenza comporta. La sua instancabile onnipresenza forse è dovuta a due necessità complementari: il bisogno di non restare da soli e quello di materializzare l’esistenza di un qualcuno in grado di assumere sembianze diverse ogni volta che la suddetta presenza è necessaria. La solitudine è sempre accanto (anche ricalcata in più punti), ma in fondo è bandita dalla propria vita come atto di necessaria negazione.
Monica Musolino è alla ricerca costante della definizione da dare al proprio sentire e al proprio toccare (ancora una volta mi riferisco ai due sensi maggiormente affioranti). E probabilmente l’altro rappresenta la matrice della quotidianità che diviene pienezza solo appunto con la sua presenza. Un altro che in alcuni tratti poetici è simboleggiato dall’amore come sentimento generalizzante, in altri tratti dalla figura maschile di un uomo desiderato e amato e dai suoi movimenti corporei, in altri ancora dal bisogno puramente sessuale insito nei movimenti esterni della propria pelle (le mani, le gambe, gli occhi, i seni, etc). Infine, mi permetto impunemente di rilevare l’accento – schivo e modesto – di un rimprovero verso una presunta figura genitoriale severa, precisa e rigida nel suo compimento (dalla camicia al sorriso, dalla cravatta alla fronte).
La Musolino – e qui arriviamo al terzo fondamentale elemento di questo corpus – parla di sé, più di quanto stabilisce direttamente e comunica esplicitamente. Lo fa attraverso questa pubblicazione, questi versi e questa concessione a porte aperte della sua vita (seppure in forma delicata). Inchiostri d’arance e di minuti persi è forse una sorta di manifesto identitario sia della crescita personale, sia della ricerca di ciò che ci si aspetta dall’altro? Solo lei può dircelo. Ma sembra che sia proprio quest’altro ad avere il potere di riempire l’altra metà, l’altro spazio, l’altro posto. Ad esempio, nella prima sezione, l’amore è ricercato, capace da un lato di guidare le scelte della donna, dall’altro di metamorfosare la stessa Musolino (il mio amore chiede parole che non posso dargli). Il bisogno di non restare comunque soli e di cercare qualcuno in grado di occupare il tocco sul proprio fianco è sempre evidente.
Quarto elemento è la sicilianità, non intesa come declinazione dialettale, ma come evocazione di forme, di colori, di frutta, di notti lunari e di origini. I colori caldi della terra ci sono tutti, quasi percorsi a piedi scalzi (tatto), a naso libero (olfatto), a occhi privi di pregiudizio (vista). La luna (visibile quando gli orizzonti sono liberi dalle altezze del cemento), le mandorle, le arance e tutte le altre forme sono elementi del Sud, il nucleo geografico di appartenenza della poetessa. Interessante, a tal proposito, sottolineare che la stessa Monica Musolino, in altre sedi, precisa che si sente sicula dello Stretto, non siciliana tout court, percependo in modo sensibilmente differente le due (o più) identità siciliane…
A volte, la paura – pregna di scale da percorrere – produce incendi (terra bruciata attorno ai miei passi). Il semaforo è la necessità di fermarsi di fronte ad un ostacolo; ma chi ci aiuta (Verrai a liberarmi?)? La Musolino trova semafori vuoti, ma lune piene; niente miele (la vita non è facile per nessuno), ma fari intermittenti (come le certezze); ombre abissali, ma una barca – la propria – anche se incede verso uno scoglio. Metaforicamente la poetessa naviga verso un’isola sconosciuta (da qui il mio desiderio di definire i suoi versi battelli di vita poetica).
Dove andare e con chi? Domande per niente banali e che richiedono risposte complesse e articolate (gli angoli delle increspature delle onde). L’altro spesso viene mitizzato (ad esempio, nella poesia Canto di fine inverno), gli viene conferita quella forma giusta per noi (significato che abbiamo già precisato all’ingresso di questa presentazione). Poco importa che in realtà nello specchio lucido emerge una dolcissima solitudine. L’altro c’è, perché è voluto, necessario, obbligato a presenziarci. La dicotomia tra la reale presenza e quella desiderata (che lo fa quasi materializzare davanti a noi), presiede incessante in ogni sezione (al di là del suo legame all’astrazione o alla concretezza). A me sembra che il tentativo di compensare le proprie fragilità con la presenza dell’altro, abbia una strada a doppio senso. E se fosse anche l’altro ad aver bisogno della poetessa, in egual misura? Sono spinta a pensare questo, poiché in diversi tratti è la stessa Musolino a rappresentarsi quale faro, spia lampeggiante, l’exit necessario, la certezza di non perdersi. Alternanza, dunque, tra l’essere rifugio e la ricerca nell’altro. Liberare (o salvare?) l’altro è dunque possibile, anche se spesso lo spazio privo di confusione non è sufficiente (Non ho mare abbastanza, per potergliene dare, solo onde convulse e senza misura). In fondo, le onde sono i movimenti delle parole, la loro sintassi emotiva, la penetrazione dello sguardo (e delle mani), il tocco sui fianchi e sulle voglie del corpo.
In fase successiva, si passa dalla luna, dal mare e dalle sue onde, alla materialità della terra. Forse è proprio nella prima poesia che apre la seconda sezione che emerge con forza e chiarezza la poetica di Monica Musolino. È vero, la voce all’orecchio sussurra angoscia e vortici, ma è altrettanto vero che pensare e scrivere di essi diviene catarsi. Scrivere è redimere le paure, sciogliere i loro nodi. Non importa se la paura è sempre in agguato, anche quando la scrittura può terremotare nella macchia breve di una virgola sbagliata. Comunque ci salva. Restar soli vuol dire anche restare sul ciglio della strada, sul fianco dell’incertezza, con la gola secca e la lingua silenziosa. Risolutivo quindi stabilire di incendiarsi ancora di terra, di grinta, di sospetti di vita, di colori e di luci bianche.
Il percorso muove con la materializzazione attorno a sé della già citata ricerca delle origini. In Estremo Sud, ad esempio, termini quali cocci, strade, piedi, sassi, spazio e terra, rievocano lo stesso concetto concreto e palpabile. Non c’è forma sintetica di descrizione, nulla viene lasciato all’ambiguità linguistica o al fato dell’interpretazione. Anche in questa sezione le vicende trovano lo spazio e il resoconto dei quali hanno bisogno. Etna è ancora bellezza siciliana, metafora del fuoco del vulcano dalla lava incandescente che sta dentro di noi. Il polmone di fuoco è vita, poeticamente cambiamento, emotivamente turbolenza (ma non necessariamente sempre negativa).
Mi piace sottolineare la capacità di Monica Musolino non solo di descrivere i propri stati d’animo (niente di più complesso, soprattutto poeticamente!), ma anche dei fenomeni naturali (come il vulcano appunto). Saper descrivere la forza della natura non è impresa facile. Qui emerge, senza inutili “panegirici”, la differenza tra chi si improvvisa poeta e chi invece giostra la penna con talento.
Nelle sezione successive (da Accanto a Orizzonte), la materialità diviene corpo, definendosi ulteriormente in Inchiostri corporei, caduti, esplosi, di rabbia e in movimento. Un intervallo ancora più incalzante, che permette di comprendere ancora meglio come è possibile passare da uno stato di confusione (Accanto), ad uno stato di domande (Soglia), ad un altro ancora di turbolenza (Fuori) e scontro (Contro) con l’altro, al bisogno di incontrarlo in nuovi orizzonti (Orizzonte).
Tutto parte dalle ciglia e quindi dallo sguardo, per concretizzarsi nel tocco. Monica Musolino è indulgente tanto quanto appassionata. Nella poesia Attesa, ad esempio, si rivolge a se stessa affinché sia disposta ad aprirsi al cambiamento e alle nuove esperienze. La fisicità, mai sopita per la verità, diviene attuale e sensuale in Desiderio. Brava, la poetessa, a mescere eco lontane e classicheggianti alla voglia di rendere possibile ad ogni ora l’incontro reale (attraverso il tocco). Anche qui, la doppia direzionalità di rifugio trova contezza nel sussidio reciproco. Ma l’altro, via via che si dipanano le sezione, diviene più materiale, vivo e chiarito, meno mitizzato, forse anche più fragile (a partire dal pianto). È in una sorta di dimensione più umana, perché ormai più esplorata.
Forse è Errore di distrazione (una delle poesie più belle per il mio palato poetico) che permette di far emergere tutto questo. Ma di colpo, quando forse meno ce lo aspettiamo, il dolore – spietato per natura – è in agguato e torna con prepotenza a richiedere spazio. Esso scava le ossa, impone il ritiro dentro un’armatura lucida che si maschera dietro quel solito cenno di sorriso che copre tutto. Forse si intravede Monica Musolino cresciuta di colpo, a colpi sul fianco. Ma da qui partono anche tutte quelle poesie che centrano un unico tema: quello del vortice invincibile della passione, marcato dalle mani, dai fianchi, dalla bocca, dalle gambe, etc. Legacci di felicità emergono anche dalla poesia Tutta la mia vita che trema, quando sono proprio le braccia che permettono la rinascita.
Tutto questo (ma non solo) è Inchiostri d’arance e di minuti persi di Monica Musolino, questa è la sua sicilianità, questa è la sua timida – ma assolutamente efficace – poetica.