POESIA | Collana “Orme di inchiostro”
Chitarre ritrovate
di Isidoro Aiello
Nota biografica
Isidoro Aiello è nato a Messina nel 1963 e vive a Barcellona Pozzo di Gotto. È laureato in Economia e Commercio e lavora nell’azienda agricola di famiglia.
Per Il Girasole Edizioni ha pubblicato le seguenti sillogi: L’essenziale (2004), Colombe vittoriose (2007), Tela di ragno (2011), e nel 2009 ha pubblicato Clessidre (Edizioni Il Gabbiano).
Prefazione di Giulia Carmen Fasolo
Il poeta Isidoro Aiello è alla sua quinta pubblicazione, Chitarre ritrovate è la prima ospitata nel catalogo delle Edizioni Smasher.
Mi sono sempre avvicinata alla poesia di Isidoro con il garbo che caratterizza il rapporto fra due amici, ma adesso mi spetta il difficile compito di comporre una prefazione che sia in grado di spogliarsi dell’affetto, per porgere al lettore una rappresentazione – certamente parziale e relativa – della poetica dello stesso Autore e l’inconfondibile stile che la traccia.
Spesso mi sono posta un interrogativo (che forse resterà irrisoluto): chi è il Poeta? È colui che, secondo le tramandate narrazioni, abita il mondo attraverso lo spazio della sua psiche e riferisce sulla vita e sulle sue vicissitudini dal filtro delle sue percezioni? Oppure è colui che vive radicato nella società di appartenenza ed esalta, a bandiera poetica dei suoi versi, l’impegno civile? E, infine, può esserlo chi, partendo dal senso etimologico del greco poiesis e poiènin, crea qualcosa?
Pessoa scriveva: “Il poeta è un fingitore, / finge così completamente / che riesce a fingere che è dolore / il dolore che davvero sente”. Fingere è comunque costruire, creare, formare, dare vita, combinare storie alle parole e queste alla vita e agli uomini: poiènin, in altre parole.
Così, Isidoro Aiello mostra – nella sua poetica indiscutibilmente matura – molteplici abilità: è in grado, infatti, di mostrare la bellezza della scrittura, l’utilizzo delle parole, il suono melodioso e allo stesso tempo asciutto dei versi. Adoperando tutto questo per costruire storie, gli intrecci della vita, le dinamiche interpersonali, i conflitti intrapsichici di ciascun uomo. Fare il poeta è quasi un mestiere linguistico e della scrittura, ma allo stesso tempo è una necessità dell’anima. Proprio per quest’ultima esigenza, il dipanare dei versi, anche in Chitarre ritrovate, permette di cogliere una evidente dicotomia: se da un lato chiarisce il silenzio “esterno” del poeta, dall’altro definisce il tumulto interno dei suoi conflitti.
Forse Isidoro Aiello non spiega in modo esplicito il dolore (spiegare ad ogni costo non è il compito del poeta), ma nell’ermetica linguistica, poi non così densa, se ne ravvisa tutta l’intensità. La dialettica relazionale sembra, in verità, un’alienazione dalle cose che riconsegnano la vita nel modo inadatto, mentre il poeta invece ne vorrebbe cogliere la bellezza.
È un percorso linguistico e ontologico: il poeta Aiello è in grado di sopravvivere alle seduzioni del narcisismo letterario, dando sfogo alla reazione contro ogni inganno sociale. Così, la sua poesia non è una mera costruzione di suoni e parole, ma diviene la voce del vento delle circostanze umane. Priva di ogni sciatta quotidianità, la Poesia in Chitarre ritrovate rappresenta quella palestra in cui si lotta per amare la vita, accettandone ogni eventuale dualità.
Dunque, come già fece nelle altre pubblicazioni, anche in questa silloge il poeta utilizza la parola quale volano di un processo che deve imporre l’interruzione dell’atrofizzazione della mente, delle scelte, delle condivisioni, dell’amore stesso per la propria terra e per gli altri esseri umani.
La predilezione per il verso asciutto, soprattutto nella prima parte, mostra quasi la necessità di ridurre ai minimi termini i fronzoli poetici, che talune volte sono utilizzati solo per dire e alla fine smettono però di raccontare. La poetica di Aiello non è certamente didascalica, il poeta è capace di far arrivare non solo i significati, ma anche i suoni delle parole, i rumori di ciò che vogliono intendere. Si badi: qui, in Chitarre ritrovate, non c’è necessariamente un senso pedagogico della poesia, in altre parole il poeta non intende suggerire e presupporre uniche strategie per vivere bene e meglio. Qui il poeta chiama le storie con il loro nome, le identifica nella loro cruda realtà.
Tra Isidoro Aiello e il lettore c’è un rapporto-vincolo che si è costruito fin dalla prima pubblicazione editoriale. Oggi, anche se la carta del volume non è “schiudibile” come nei tre precedenti volumi, la poetica assume ugualmente la forma di una scoperta di cose e sensazioni. Pur non avendo necessità di capire l’utilizzo di strutture logico-semantiche che fanno della poesia una Poesia, il gusto estetico, la sensibilità emotiva, il senso stringente dei suoni e delle parole, arricchiscono il lettore e gli permettono di conoscere il piacere poetico.
Walter Whitman scrisse “Che tu sei qui – che esistono la vita e l’individuo, / che il potente spettacolo continua, e che tu puoi / contribuirvi con un tuo verso” (Leaves of Grass, 1855). Così Isidoro Aiello sa che esistono la vita e l’individuo e ne racconta le vicendovoli trame in maniera eccezionale.
Com’è facile evincere, i temi affrontati sono sempre diversi e mai monolitici: l’irriducibile ipocrisia del nemico, che con sorrisi capziosi si riempie le tasche d’oro; un amore complesso e doloroso, in una strana dicotomia tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere e di cui l’animo del poeta sembra aver bisogno, etc.
Diversi sono i possibili riferimenti ad ambienti classici, a denotare il livello culturale della poetica di Aiello, che ad ogni modo non si arcigna in posizioni distaccate, ma piuttosto dispiega per gli altri, con assoluta bravura, le iniziazioni della scrittura.
I dubbi sono i compagni fedeli di un universo sul quale non si smette mai di interrogarsi: un assillo costante che ci fa uscire da noi stessi, che ci fa impazzire (semel in anno licet insanire) nel tentativo di venire fuori da schemi precostruiti di una vita che spesso ci risulta stretta. Eppure, il poeta manifesta la sua stabile pazienza e tenta di proteggersi dal freddo degli altri e dall’intenso dolore che possono provocare.
Prima o poi si è stanchi di ferire e di farsi ferire, giunge l’attimo in cui è necessario mescolarsi, unire le mani e le lacrime, in un groviglio che metta da parte i pugnali, che sia finalmente una tregua alla necessità di stare sempre in trincea o in difesa.
Negli occhi e nelle atmosfere degli altri a volte siamo come farfalle, condannate a una vita breve, giustiziate sotto una fine inesorabile. Vengono in soccorso al poeta diverse metafore, che tracciano una strada ora da peregrino, ora da guerriero. Forse è pura casualità e non una scelta stabilita, ma la presenza del mito di Tristano e Isotta quasi nella perfetta metà dell’Opera rappresenta il disperato bisogno da una parte di mantenere inalterate le possibilità di sopravvivere a questa complessa vita, ma dall’altro anche il bisogno incessante di lasciarsi andare alle passioni, quelle sane e quelle che ci fanno non semplicemente sopravvivere, ma vivere pienamente.
Anche la visione della natura affranca: in una società tumultuosa, nella quale il feticcio dei quanta diventa quasi il niente, il poeta si sofferma sulle piccole cose, come le foglie e il loro divenire nelle stagioni, il loro movimento sull’acqua, tutto quello che in altre parole rimanda al silenzio e alla riflessione.
Il titolo ci fa pensare a diverse cose: sia materiali (come il ritrovamento dei legami agli oggetti e alle persone), sia suggestioni immateriali (come i ricordi o come le infinite tristezze che mordono la vita e le dita). Il suono è melodia, ma sa essere anche spietato rintocco proveniente dal quadrante di un orologio che segna ineluttabile lo scorrere del tempo, dell’abbandono e dell’assenza.
Anche i temi precipuamente sociali si possono rintracciare: pensiamo a quello delle migrazioni, del destino di chi giunge nelle nostra terra per ritrovare in verità porte di metallo e la luce del sole tarpata.
Nella seconda parte della silloge, i versi diventano più fluidi, meno ermetici, più diretti e descrittivi (ma comunque mai didascalici). Quasi a voler schiudere il sigillo dei versi e dire qualcosa in più sull’uomo, per non fare la fine della farfallina “Morpho didius”, intrappolata dall’assenza del respiro, in una teca-tomba che non le permette più di sfidare il tempo.
Così è l’uomo, così è il suo cammino, così è ciò che traccia la viscerale poetica di Isidoro Aiello.