“Di lontano” di Giuseppe Sottile

10,00

POESIA | Collana “Orme di poesia”

Pagine: 94
ISBN: 978-88-6300-253-9
Edizione: febbraio 2021
Euro: 10,00
Formato: 12×18 cm
Rilegatura: brossura fresata a folio

Prefazione di Alessandro Cocuzza

 

È stato Giacomo Leopardi, con l’acume che gli era proprio, a cogliere due secoli fa nella frattura incolmabile tra uomo e natura determinata dalla civiltà la causa di una condizione di alienazione e pertanto di infelicità per l’uomo moderno, e a vedere nella poesia filosofica l’espressione artistica più consona a tempi così riflessivi, razionali, come il suo, …e il nostro.
Come la separazione dalla nostra Madre comune trasmetteva un senso di dolorosa incompletezza, la poesia riflessiva da parte sua nasceva con l’handicap di un linguaggio a disposizione impoetico, che costringeva il poeta a crearsene uno ad hoc. Da qui la ricerca di parole evocative, termini disusati e peregrini, capaci di suscitare il sentimento poeticissimo del «vago e indefinito».
Se Leopardi mostrava una lucida comprensione di questa particolare cifra esistenziale della poesia romantica, nata, come sappiamo, alle soglie di quel secolo borghese che in Europa avrebbe visto la graduale affermazione dell’industria, un significativo sviluppo della scienza e della tecnica col corollario dell’ideologia ottimistica del progresso, la questione da lui individuata sarebbe da allora rimasta più o meno aperta, diventando una delle caratteristiche salienti della poesia contemporanea; che si è naturalmente connotata nel tempo dei temi e spesso anche delle tragedie che nelle sue trasformazioni la storia e la società non solo europea avrebbero presentato alla coscienza umana.
Le liriche, o meglio le «riflessioni poetiche», che Giuseppe Sottile affida alla presente raccolta si collocano in questa corrente di poesia esistenziale che attraversa, non raramente con esiti di altissimo livello, come nel caso dell’esperienza ermetica, e senza diventare mai carsica come nel caso di altri generi, l’intera storia della poesia occidentale contemporanea.
Nell’economia dell’ispirazione della poesia lirica generalmente è difficile individuare nelle giuste proporzioni quanto sia determinato da fattori personali contingenti quanto da fattori storici, quanto discenda da una riflessione sulla condizione eterna dell’uomo quanto da situazioni concrete… Spesso queste acque si confondono, compenetrandosi al punto tale da costituire un’inestricabile miscela, ed è una forzatura cercare di separarle. A questo proposito, Sottile ci offre un utile appiglio di natura ontologica: qualunque sia l’ispirazione, la poesia lirica ci conduce sulla soglia di «quell’inconcepibilità pronunciata» che è «la chiave d’accesso illogica all’assoluto», evocando essa «il non senso a cui si giunge ed a cui ci può toccare in sorte (benigna) di giungere quando ci si scioglie da … meglio “ci si scuce” da…». La poesia lirica è vissuta pertanto dall’autore come una forma di conoscenza-ricerca metafisica, che si spinge verso quel limite espressivo prossimo al silenzio nel quale il Wittgenstein del Tractatus identificava il «mistico» e che essa quasi provocatoriamente, cercando quasi il miracolo, tenta di forzare. Montale, a sua volta, si chiedeva: «Il varco è qui?».
Certo, le poesie che ci accingiamo a leggere sapranno guidarci da sole lungo linee di comprensione del mondo poetico dell’autore, a noi qui basterà farne emergere alcuni aspetti, lasciando certamente al lettore di trovarne numerosi altri.
I brevi versi di Sottile, la natura frammentaria dei suoi componimenti, ci riportano immediatamente al primo Ungaretti. Per l’«uomo di pena» come per il nostro non c’è spazio per un canto ampio e disteso: lo impediscono la realtà e l’esperienza che essa ci impone. Lo scenario rappresentato nelle sue liriche non è assai dissimile da quello descritto dall’Adorno dei Minima moralia: un mondo in cui «il tempo si è sottratto alla propria vita»; una realtà angosciante nella sua massificazione e mercificazione di ogni forma di esistenza.

Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. – tutto divenne commercio. È il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale e fisica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore.

Così profeticamente Marx, nelle pagine iniziali di Miseria della filosofia. Tale processo ancora embrionale nella sua epoca oggi è divenuto globale, restando però invisibile ai più, soggiogati come sono dai lustrini della festa mobile della società dello spettacolo e dall’acritica adesione al consumismo, mentre il treno del nichilismo capitalistico procede, come in un famoso romanzo di Zola, a folle velocità verso la distruzione di sé stesso e del pianeta. Con l’ulteriore aggravante che tale rimozione collettiva da parte di una «moltitude vile… des mortels» votata a una perenne «fête servile» non conosce, a differenza della folla baudelairiana, ormai più sensi di colpa.
Proprio la consapevolezza del destino a cui un sistema antropocentrico ed ecocida condanna ogni forma di vita e la «lucida convinzione che la nostra specie rappresenti una di quelle funeste possibilità che la Vita procura contro sé stessa» precludono al nostro una qualsiasi possibile conciliazione con la vita come ce l’ha consegnata l’attuale modello sociale. L’esperienza di estraneità ad esso e il disagio che ne deriva, sollecitano nel nostro un sentimento di letterale com-passione nei riguardi delle sue vittime e quella che ne scaturisce è una meditazione sulla vita offesa, da una prospettiva non limitata alla sola vita umana ma rivolta a «tutte le forme di vita non umane innocenti per definizione ed umane nel tratto in cui ancora lo sono».
Poesia frammentaria perché frammentaria è la nostra condizione di uomini di questo tempo. L’aveva capito esattamente Samuel Beckett nel suo teatro e nel balbettio dei suoi versi. In Sottile si respira spesso la stessa luce livida e desolata da notti insonni in città estranianti, dove la gente non sente il grido degli ultimi, lo strazio che proviene dagli allevamenti intensivi, il lamento della Terra. È una critica della civiltà, la sua!
Coerentissimi col loro contenuto, questi versi duri, disperati, spezzati, a volte espressionistici, coi loro incipit in medias res, la loro assenza di titoli, il minuscolo; poesia in cui le pause contano a volte quanto le parole, dove a tratti si coglie un abbandono che immediatamente si contrae in una chiusa folgorante… L’atmosfera che vi si respira è talora quella di una sospensione del tempo, quale solo uno sguardo lucido sul presente o un dolore presente a sé stesso sanno ricreare; più spesso il tempo sospeso è quello che la cosiddetta civiltà e il capitalismo hanno imposto alla vera Vita, a una vera vita possibile («La vera vita è altrove», diceva Arthur Rimbaud…): e allora emergono le «tracce d’inferno/ dell’esistenza» e il disgusto verso chi è «di casa a questo mondo», perché è corresponsabile della «feroce cultura umana» che detta le logiche della nostra vita sociale. La consapevolezza di ciò toglie il sonno non consentendoti nemmeno quella noia che in Baudelaire faceva da contraltare all’orrore ricavato dalla sua esperienza del mondo.
Se la cronaca della Storia spesso inganna quanto il tempo interpretato dalla nostra civiltà e dall’attuale modello sociale, c’è però anche una storia che sa risalire genealogicamente alle cause e che rivela altri modi di essere, c’è la natura coi suoi processi simbiotici, la vita che si contrappone costantemente alle nostre logiche di morte e riemerge generosa quando si allenta per un attimo il peso del tallone di ferro della produzione forsennata, ci sono i momenti di eternità che l’amore, la natura, la poesia, il mistero della vita innocente, sanno regalarci. Tutte cose che ci dicono che un’altra Vita è possibile. «Com’è sacra la vita!». Solo allora, in un contesto dove incominciare ad essere ciò che siamo, umani troppo umani, la nostra finitudine più che la nostra condanna tornerebbe ad essere, come a volte è stata, ci dice Giuseppe Sottile, segno della nostra autenticità. Questo ed altro sanno donarci questi versi così intensi.

 

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