RACCONTI
Conti zafarani
di Giovanni Canzoneri
COPIE ESAURITE
Nota biografica
Nato a Palermo il 6 maggio del 1975, Giovanni Canzoneri si trasferì dal quinto giorno di vita a Bagheria dove trascorse l’infanzia e buona parte della picciottanza.
I detti e le storie popolari, raccontati dai genitori e dai nonni, stuzzicano la sua fantasia, che svilupperà giorno dopo giorno, rifinendola con i proverbi siciliani declamati dal professore Ludovico Mineo durante le lezioni di ragioneria all’Istituto Tecnico Commerciale di Bagheria.
Giovanni Canzoneri inizia il suo iter di “Contastorie” nel 2008 partecipando a vari concorsi letterari, conseguendo risultati soddisfacenti.
Il 27 giugno 2008 partecipa alla III ed. del concorso letterario “Raccontiamo”, con il racconto Parliamo di cose serie, ottenendola pubblicazione sul periodico di Reggio Emilia Reporter e in seguito nella raccolta di racconti “Raccontiamo 3” ed. Aliberti.
Il 14 settembre 2008 ottiene la segnalazione di merito, con il racconto Una bella giorna d’inverno, alla VII ed. “Premio letterario Giacomo Giardina”.
Il 10 ottobre 2008 ad Augusta ottiene la segnalazione di merito, con il racconto Vox populi, al Premio letterario Agorà ed. 2008.
Nell’aprile del 2010 pubblica il conto Amorosi sensi sul portale e rivista letteraria Pupi di Zuccaro.
Prefazione di Giulia Carmen Fasolo
In verità, non ho mai particolarmente amato – per gusti personali e non certamente per “sicilianitudine” – gli intercalari dialettali all’interno di un testo romanzato. Eppure, dopo aver letto Giovanni Canzoneri, mi sono ricreduta. Almeno per due buoni motivi. Intanto Canzoneri scrive bene: il suo vernacolo siciliano certamente non diviene stonatura nella strutturazione concettuale della storia. Bensì diviene quasi necessaria. Così la potrebbero pensare anche tutti coloro che – eventualmente – hanno potuto vedere e apprezzare il film Baharia di Giuseppe Tornatore. Il secondo varco, nel nostro interesse, a favore di Canzoneri è il suo essere Cantastorie, nonostante la giovane età (classe 1975). Quattro sono gli schizzi popolari che ci narra, ma la vivacità dei personaggi e il loro evidente essere “uomini di tutti i giorni” ci strappano più di un sorriso. I racconti si deglutiscono tutti in una volta, senza prendere fiato. E soprattutto parlano di vita popolare, di piazze, di gente, di vita quotidiana, di parole e di cultura antica. Tanto che immagino Canzoneri, pur non avendolo mai conosciuto, intento a strimpellare con una chitarra o una lira la storia antica di fronte ad un numeroso pubblico. Il Canzoneri narratore non si può lasciare a metà, proprio no… Dicevo che sono quattro i Conti zafarani. E altrettanti sono i contenuti sui quali riflettere, ben marcati in ogni storia. Io non ve le racconto le giornate o le “curttighiate” dei popolani, perché toglierei così quel tipico piacere dei bambini quando passano il ditino sulla panna della torta del compleanno. Però, quale uomo non potrà invidiare Ciccio Pintacuda? È una metafora, è chiaro. Ma questa storia la vorremmo indossare, come le brache la mattina, un po’ tutti. La vita è un gioco, né più né meno. Sostanzialmente è un gioco d’azzardo, una sfida contro il destino, uno scacco matto della propria personale furbizia. E prendere o lasciare non deve tenerci lì fermi, dondolanti in una scelta. C’è solo il prendere, tutto quello che è possibile e – magari – impossibile. E questo ci permette di andarcene da queste quattro mura dalle quali ci facciamo ingoiare ogni giorno, nel modo più soddisfacente possibile. E chi se ne frega se si fa o non si fa, l’unica imposizione è quella tutta interiore: la vita dobbiamo godercela, alla faccia di chi ci asfalta una traiettoria contraria. Certo, una vendita all’asta con il diavolo della propria anima non è l’aspirazione massima, né quella minima per la maggior parte. Ma qui non è una scelta da corrotti, qui è una scelta da viventi. La vita, del resto, non favoreggia mai la partita. O giochi o perdi. E se decidi di giocare è proprio contro la vita stessa. Ma io credo che Canzoneri più che altro voglia far sorridere, riflettere sì, certamente, ma sorridere. Pensare che non vi sono una miriade di riflessioni da porre di fronte al nostro percorso, ma il nostro personalissimo obiettivo. La vita di ogni giorno è fatta di parole, tessuti di parole, che fanno da carburante a tante storie. E queste parole che circolano e si mescolano e danzano e si aggrovigliano le ritroviamo nel secondo bellissimo racconto.