POESIA | Collana “Orme di poeti”
Frammenti d’infinito
di Erica Crinò
COPIE ESAURITE
Nota biografica
Erica Crinò è nata a Barcellona Pozzo di Gotto il 30 novembre 1985. Si è laureata a Padova in Linguaggi e tecniche di scrittura e ha poi conseguito la laurea specialistica in Tradizione ed interpretazione dei testi ad Urbino. Dopodiché ha frequentato un Master sul libro antico presso l’Università degli Studi di Siena. Attualmente lavora come stagista presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Inoltre, scrive recensioni di romanzi come collaboratrice free lance. Frammenti d’infinito è il suo primo libro.
Prefazione di Cinzia Crinò
La natura, l’amore sofferto e la solitudine sono gli ingredienti principali che costituiscono la Silloge Frammenti d’infinito, opera prima di Erica Crinò. La raccolta è composta da quattro sezioni: “Potenza della natura”, “Mutamenti”, “L’etereo e il sublime” e “Amore”, ma a livello contenutistico la suddivisione non è molto rigida. Al contrario, si possono riscontrare una serie di caratteristiche che percorrono l’intera raccolta poetica.
Il primo tema delineato è quello della natura, che rappresenta un elemento di grande ispirazione per l’autrice, la quale le dedica addirittura un’intera sezione. Pur essendo un argomento “classico” nell’ambito poetico, affrontato molto spesso sia dai poeti antichi che da quelli moderni, in questa sede la tematica viene descritta in modo peculiare. Innanzitutto, tutti i fenomeni naturali (pioggia, vento, terra, nebbia eccetera) vengono personificati, ovvero, vengono raffigurati a tutti gli effetti come degli esseri viventi, pensanti e agenti. In alcuni casi, l’autrice vede delle similitudini tra il destino dell’elemento naturale e quello degli uomini. Ad esempio, nella poesia “Luna”, il comportamento del satellite, che è illuminato dalla luce del sole, viene associato a quello di una donna innamorata, che solo in compagnia del suo uomo riesce a brillare. Allo stesso modo, in “Pioggia”, le gocce d’acqua sono descritte come “fresche lacrime infinite”, o ancora, in “Primavera contemporanea” la natura viene rappresentata come una persona che si è ammalata dopo essere stata sfruttata.
In altri casi, l’esistenza dell’elemento naturale viene immaginata come opposta a quella degli esseri umani. Questo avviene in particolare per la terra, oggetto di due poesie. Ne “Il pianto della terra”, quest’ultima si pone in contrasto con gli uomini, ma anche con gli animali e con le automobili, che la calpestano senza nemmeno notarla. Anche in “Pianeta terra” si nota questa opposizione, come si può leggere in questi versi: Gli uomini ballano,/ Sorrisi e gioia riempiono l’aria./ Io ballo./ Dolore e pianto invadono l’aria./
Infine, in molti passi, la natura viene considerata dall’autrice come un modello da seguire. “L’amore della natura” descrive l’amore che lega il sole al mare: Il sole non pretende gli abbracci del mare,/ il mare non pretende i baci del sole,/ ma gioiscono nel dare interamente se stessi”. Allo stesso modo, in “Quello che il mare c’insegna” la poetessa riflette sulla bellezza del mare nella sua naturalità, senza bisogno di nulla di estraneo, di costruito. L’invito è quello a seguire il suo esempio, ad essere semplicemente noi stessi, senza artifici, godendo di ciò che ci è stato donato.
Il secondo tema affrontato in questa Silloge è quello delle emozioni. La poetessa dedica alcuni componimenti proprio all’espressione di sensazioni forti da lei vissute.
In “D’improvviso” il sentimento che viene messo in luce è quello della paura, dello smarrimento, provati in occasione di un episodio della sua infanzia. Quando aveva solo nove anni, si trovava in gita con la sua famiglia a Murano, nei pressi di Venezia. A un certo punto, seguendo un piccione, la bimba perde di vista i suoi genitori. La poetessa riesce a far percepire anche al lettore la sensazione di smarrimento, di angoscia, di quell’attimo che sembra non finire mai, ma anche il successivo senso di sollievo e la gioia provata dalla piccola non appena ritrova i genitori. Altri sentimenti espressi in questa raccolta sono quelli dell’angoscia per un futuro incerto (“Non so”), la rabbia e il senso di colpa (“Rabbia”), la felicità (“Felicità” e “La mia percezione di te”) e ovviamente l’amore, a cui è dedicata tutta l’ultima sezione.
La poetessa ha una visione molto pessimistica dell’amore. In tutti i componimenti presenti in questa raccolta poetica, l’amore è sinonimo di sofferenza, di tristezza e di rifiuto. Erica Crinò non riesce a spiegarsi perché esista l’amore, dato che per perpetuare la specie è necessario solamente un atto sessuale. Addirittura, in “Mal d’amore”, questo sentimento viene considerato come una punizione data agli uomini. L’autrice non ha dubbi: “Non amare/ se non vuoi soffrire”. Ma nello stesso tempo è consapevole del fatto che non si può vivere senza amare, di conseguenza gli uomini sono inseriti in un circolo vizioso di dolore da cui è impossibile uscire. In “Ossessione d’amare”, la ripetizione ossessiva in tutte le strofe delle parole finali di ogni verso (parole rima), trasmette proprio il senso di prigionia in cui è immersa la persona innamorata.
La sofferenza per un amore non corrisposto si ritrova anche nell’ultima poesia della raccolta, intitolata “Amicizia”. Quando la persona che amiamo risponde alla nostra infatuazione con la frase “Per me siamo solo amici”, anche il più nobile dei sentimenti si trasforma in una “frustrante condizione”. Strettamente collegato al tema dell’amore è quello della solitudine, che percorre trasversalmente tutta la Silloge.
La solitudine viene interpretata in due modi diversi. Da una parte ha un’accezione negativa, in quanto viene associata alla mancanza d’amore e di rapporti sociali in generale. Ad esempio, nella poesia intitolata “La mia solitudine”, l’autrice esprime la sua sofferenza nel vedere coppiette felici che si baciano, mentre lei è sola. Purtroppo non può fare nulla per cambiare le cose, se non sperare in “una bella utopia” che forse non si realizzerà mai.
Interessante anche la “Solitudine del XXI secolo”. Nonostante la nostra epoca venga definita spesso come “era della comunicazione”, secondo l’autrice il ventunesimo secolo porta con sé un progressivo distacco dagli altri. Sembra che lo stare insieme, l’incontrarsi, il condividere esperienze nella quotidianità sia fuori moda, in declino. Lo stesso concetto viene ripreso in un componimento dedicato al più popolare dei social network: Facebook. Facebook ci dà l’illusione di avere molti amici, in quanto questi contatti ci osservano, notano e commentano ciò che rendiamo di pubblico dominio. Ma la Crinò va oltre, non crede che questo contatto virtuale ci abbia avvicinato alle persone, anzi, se ci si guarda intorno si può notare che non c’è nessuno al nostro fianco.
Ma la solitudine ha anche i suoi lati positivi. In “Bianca solitudine”, il bianco è sinonimo di protezione, di riparo, di silenzio, di pace. In quest’accezione, la solitudine è una situazione piacevole, rilassata, che consente alla creatività di emergere. Un ultimo elemento che caratterizza l’Opera della giovane scrittrice è il pessimismo. La realtà che la circonda non le piace, la fa soffrire. La poetessa trova la sua felicità, l’estasi, soltanto in una dimensione ultraterrena, in un altrove, rappresentato ora dal sogno (“Sempre nei miei pensieri”), ora dalla fantasia (“Sei il mio sole”), ora dal sonno (“Giungi o Morfeo”). Vorrebbe essere inghiottita dalla nebbia (“Nebbia protettrice”) o anche rapita dal suo angelo custode (“Al mio angelo custode”). Anche la poesia intitolata “Sognando Ginostra” rientra in questa dimensione. Ginostra è un piccolo villaggio situato sull’isola di Stromboli, dove la poetessa ha trascorso tutte le estati della sua infanzia. Il luogo risulta ancora primitivo, dominato da una natura incontaminata. Di conseguenza, Ginostra è il simbolo per eccellenza dell’evasione.
Le poesie che compongono quest’Opera sono molto diverse tra loro per lunghezza e impostazione. Per quanto riguarda lo stile usato, l’autrice predilige quello classico, con un uso abbondante di figure retoriche. In particolare troviamo moltissimi enjambement, similitudini, anafore e rime di vario tipo (baciate, interne ecc.). Altro elemento caratteristico del suo poetare è quello dell’approccio multisensoriale; lo si nota soprattutto in questi versi della poesia “Notte”: Notte…/ Assenza di suoni/ Assenza d’immagini/ Sapore di mistero/ Odore di pace.
Quella di Erica Crinò è una poesia profonda, delicata ma allo stesso tempo molto diretta e coinvolgente, che spinge il lettore a immergersi totalmente in questi Frammenti d’infinito.