“Passi” di Elvira Alberti

POESIA | Collana “Orme di poeti”
Pagine: 90
ISBN: 978 88 6300 122 8
Edizione: maggio 2014
Euro: 10,00
Formato: 15×21 cm

POESIA | Collana “Orme di poeti”

Passi

di Elvira Alberti


Prefazione a cura del prof. Giuseppe Anania

È proprio la 17a silloge! Dopo sedici fermate, che contrassegnano un coinvolgente viaggio attraverso la poesia, Elvira Alberti dà ancora prova di sorprendenti accensioni interiori dalle quali è sospinta a procedere sui suoi “passi” poetici.

Pertanto, chi desidera “dialogare” con l’autrice deve seguirla con schietta disponibilità in tali “passi” i cui ticchettii sono, in genere, rivelatori di stati d’animo.

Egli, intanto, sa che camminare non significa solo mettersi in moto, assaporare il gusto sia della vista con la quale si colgono gli elementi del creato sia dell’udito con cui si ascoltano le voci umane, i versi degli animali, i suoni delle cose, ma soprattutto mettere a fuoco la capacità razionale e quella sentimentale che completano la sintesi di ogni persona.

A lui può capitare, altresì, di ascoltare passi cadenzati, furtivi, lenti, lesti, lievi, pesanti, insomma una varietà di movimenti ritmici con cui l’uomo procede con la sensazione che “il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualche cosa cambi anche in noi” (Italo Calvino). I passi sono energia mediante i quali cammina la vita. Pertanto, Elvira Alberti non solo canta i suoi “passi” ma anche la vita in movimento.

Nell’esordio della silloge il lettore, intanto, nota subito che: “Passi lievi sul selciato della vita,/ sfiorati da brividi di cielo,/ si perdono nel silenzio di brume/ tra i corridoi del mondo” e, a conclusione del testo egli è avvertito che si tratta di “Presagi… Passi che s’incontrano/ nell’umida aria della sera,/ […]/ E risuonano, cupi,/ nel tempio dell’anima”. Sono versi di forte impatto psicologico che segnano l’incipit di un cammino costituito da passi leggeri sulla pancia della vita i quali rasentano tremiti di cielo e si fondono con il silenzio delle foschie lungo i varchi del mondo. Su tale percorso non mancano presentimenti che si incrociano, alla fine del medesimo testo, nell’umida sera e risuonano gravi nella nicchia dell’animo.

Possono essere sentiti, altresì, “Passi che già sanno d’ombra,/ nella fredda luce del crepuscolo/ s’avviano verso pianure/ stupite di vento, di silenzi”, oppure: “Passi che vanno, passi che ritornano!/ Passi di pace sui sentieri di guerra./ Passi inquieti di chi,/ ben sapendo di vivere senza certezze,/ s’avvia senza una meta./ Passi scanditi dal pendolo del tempo”. Si tratta, invero, di passi che attraversano una diversità stridente di ambienti, di eventi, di stati d’animo e di momenti che non possono non fare riflettere profondamente il compagno di viaggio dell’autrice sulle molteplici varianti dell’umano esistere.

È davvero pensosa la Nostra, quando confida tra mestizia e realismo che i “Passi che si smarriscono/ sui sentieri della storia,/ ove si consuma/ il respiro del Tempo,/ rotolano…/ Le pietre dell’anima”. È ancora l’uomo che compie i propri passi non del tutto sicuri delle latitudini della storia innestata nell’alito del tempo fugace, mentre non sempre sereno è lo spirito. L’uomo, la storia, il tempo e l’anima sono i supremi cardini della vita nello straordinario viaggio terreno verso l’eterno altrove.

Inoltre, non di certo è confortevole, quando l’Alberti fa sapere che ha ritrovato: “[…] passi senza percorsi definiti/ in un’atmosfera mentale/ all’improvviso vuota d’immagini”. Ma è incoraggiante, allorquando lei comunica che ode: “Sul selciato polveroso della vita/ […] il rumore di passi che avanzano”. Con allegro rumore si può proseguire sull’ardua strada dell’esistenza.

L’autrice è alquanto felice, quando annuncia tale notizia: “Ora, conducono al borgo antico,/ alla vecchia contrada,/ i miei passi” e “Il selciato trasuda/ di antichi passi/ illuminati ancora/ dai lampioni della notte:/ pallidi aloni dondolanti”. Ella riesce a creare una suggestiva scenografia evocata da dolci ricordi correlati non solo al vecchio nucleo abitativo ma anche al lastricato il quale sembra risuonare ancora di rintocchi di tacchi irradiati dal cono di luce emanata da oscillanti lampioni. Sono sequenze simili ai quadretti vivamente espressivi di una pittrice neorealista.

Il compagno di viaggio si sente, altresì, tuffato nell’incanto di un’atmosfera notturna satura di silenzio infranto, però, da: “rumori, bisbigli,/ i nostri passi: i tuoi, i miei,/ quelli di Dio./ […]/ Passi, parole, respiri,/ mentre quest’aria/ che sa d’antico, ci viene incontro”. È un’avvolgente mescolanza di segni umani e divini in forza della fede professata dall’autrice, mentre la ben nota aria amica accarezza i volti di stanchi viandanti. Ogni elemento sembra avere insita una propria energia vitale.

Il lettore non può non rimanere colpito, quando si trova davanti a una siffatta cosmica scenografia in cui: “I passi scivolosi/ della Luna/ sul mare/ abbracciano le onde e,/ nell’incontro,/ lo specchio delle acque/ riflette/ i sogni della notte”. È proprio uno scenario magnetico costituito dalla luna che sembra scivolare sul mare, mentre le acque cinte dall’argenteo chiarore rispecchiano le notturne utopie.

Se poi: “L’ombra di folte chiome/ conosce il segreto/ dei passi che s’avviano/ oltre la collina”, il lettore rimane basito dall’ardita fantasia dell’autrice.

Inoltre, la magia continua, quando l’autrice confessa: “Lento il mio passo;/ la strada è in salita/ e il fiato vien meno./ Vorrei proseguire fino alla cima./ Vorrei fermare,/ questi precipitosi tramonti”. Sono scene dominate dalla umana fatica sull’erto corso della vita che rende il respiro grosso e nello sforzo di giungere alla vetta l’autrice vorrebbe addirittura fermare il tempo che fugge. Su tale concetto l’Alberti ritorna con questi versi: “E trascini i tuoi passi stanchi/ su un arido sentiero/ che si perde/ tra i cancelli silenziosi dell’anima,/ che vagabonda, vaga/ oltre il perimetro del nulla”. La stanchezza si associa a una via desolata che si smarrisce nei silenti meandri dello spirito il quale senza meta vola oltre il confine del mistero. Si avverte il tocco dell’ignoto vagare oltre la vita dentro gli spazi dell’altrove.

La Nostra cambia tono, quando con voce sommessa dice: “Questa è la terra/ dei limoni e degli aranci, / delle spighe di grano./ Profumo di zagare/ nell’aria a primavera,/ e tra gli alberi? / Ancora… Schioppi di lupara!/ Passi di omertà”. Il lettore nota subito il particolare stato d’animo di Elvira Alberti la quale denuncia la complicità di chi con il silenzio avvantaggia l’azione criminosa dei delinquenti su una terra dotata di mitici doni della natura. Persino i passi possono essere, quindi, complici involontari di assurda solidarietà mafiosa! Quando, però, si tratta di incontrare una persona amata, il compagno di viaggio sente gioire l’autrice che dichiara: “Ormai non conto più i passi/ che mi separano da te./ Cammino senza osservare il paesaggio,/ senza annusare l’aria profumata/ della primavera./ Non preparo più le valigie/ per la partenza, le lascio vuote,/ sull’armadio, nel ripostiglio”. La fretta mette le ali ai passi, per giungere alla meta.

Triste è, invece, sentire l’autrice la quale si sfoga con tali accenti: “Ma ci avviamo (inconsciamente)/ verso orizzonti lontani,/ ascoltando solo il rumore dei passi/ di chi va e non ritorna”. In effetti, la Nostra, osservando la realtà da lei vissuta, non manca di immedesimarsi con casi estremi dell’umano vivere.

A conclusione della silloge la Nostra si chiede: “Perché esplorare ancora/ il passato?/ Il mio passato!/ […]/ Domani libererò i miei passi e,/ insieme al mio io vagabondo,/ mi metterò in cammino”. Il lettore non può non accorgersi di essere compagno di un’autrice dalla quale non si sente di essere congedato. Difatti, lei dichiara di non volere scrutare di nuovo il passato, ma di intendere lasciare liberi i passi, perché, spinta dal proprio io errabondo, vuole mettersi ancora in cammino. Ella stessa ne fornisce la motivazione nel medesimo testo: “Sorvolerò il tempo./ Cercherò, ancora nella poesia/ risonanze. Nuove/ vibrazioni dell’anima”. Ella sembra volere invitare il lettore nuotare insieme nel profondo mare della poesia e sentire echi e ulteriori fremiti dell’anima. La Nostra, in effetti, sa che lungo i futuri viaggi sentiranno altri battiti dei loro cuori, altri rumori dei loro respiri, altre vibrazioni dei loro silenzi interiori. Miracolo della Musa!

I passi compiuti e fatti compiere dall’autrice consentono di apprendere lezioni di vita quotidiana, incontri con i sogni e con le emozioni. Ciò è un motivo in più per il lettore medesimo di scavare dentro se stesso, per comprendere l’unico perché, quello esistenziale. Del resto, la presente silloge oscilla tra l’immaginazione e la realtà.

Infine, il dire poetico di Elvira Alberti, strutturato con la parola semplice, fresca e spontanea, quando ricorre senza forzature all’efficace linguaggio figurato, diviene ancor più stuzzicante e godibile. Perciò, chiusa la presente silloge, al lettore non può non venire il desiderio di risentire l’eco di quei “passi” divenuti ormai compagni di indimenticata familiarità.

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