“All’improvviso e per sempre” di Danilo Rinella

12,00

Collana|”Orme di inchiostro”
Pagine: 234
ISBN: 978 88 6300 016 0
Edizione: maggio 2010
Euro: 12,00
Formato: 15×21 cm

Esaurito

ROMANZO

All’improvviso e per sempre

di Danilo Rinella


Il romanzo

Nel romanzo All’improvviso e per sempre la vita ci mostra i suoi bivi e in un cammino che non può essere fermato, l’obbligo è quello di scegliere una direzione, godendo dei passi leggeri e sopportando il peso di quelli pesanti. Sono le scelte che facciamo a determinare il nostro destino o era già scritto da qualche parte che avremmo comunque fatto quel tipo di scelte? Questo l’interrogativo che accompagna la sfida di un uomo che decide di mettere a nudo la propria identità attraverso il racconto della propria vita, un racconto che non potrà più essere raccontato da chi lo ha vissuto e non potrà mai essere ascoltato da chi lo leggerà…

Prefazione di Giulia Carmen Fasolo

All’improvviso e per sempre ti esplode di colpo tra le mani, nella sua estrema autenticità. Tanto che ci si scorda in fretta che si tratta di un romanzo, di una storia di fantasia, e di un altrove che sostanzialmente non esiste. In realtà, l’altrove romanzato nel quale vive Daniel Vento, il protagonista della penna del giovane scrittore Danilo Rinella, sembra essere il qui di oggi. Di fronte alla drammaticità della vita di Daniel, non possiamo schierarci come si fa nelle partite di pallone, anche se a lui il calcio piace molto. Né possiamo tessere sermoni moralizzanti per digerire la sua storia, poiché lui è da vivere così com’è.

All’improvviso e per sempre non è la storia di un bambino abbandonato, di un giovane sbandato, di un uomo gigolò e – infine – di un adulto che vive di “vita nuova”, anche se la banalità di cui è spesso vittima la sintesi potrebbe farci chiosare in questo modo. In verità, questo romanzo è semplicemente (se questo avverbio si può adoperare senza abbruttirne il concetto) la storia di chi non ha avuto molti strumenti per farcela e gli unici a disposizione erano quelli legati all’essenzialità della sopravvivenza. Senza voler dimenticare le persone che sono state da cornice ai transiti esistenziali che lo hanno visto protagonista.

Forse possiamo credere nel suo personale sliding doors, nella scelta possibile secondo un arbitrato spicciolo che fa comunque storcere il naso come qualsiasi altra teoria a sostegno del Caso. Se non fosse che l’unica strada che abbiamo sotto i piedi è quella che in fine percorriamo. Anche per Daniel Vento è così, personaggio che io preferisco definire (visto l’aggrovigliamento di definizioni che ne verranno date) Poeta. Né maledetto poeta né triste poeta, ma il poeta penna di se stesso.

La prima cosa che mi ha colpito di Daniel, perché di lui ne parlo come se mi stesse accanto, è l’estrema inquietudine di non sapere il proprio nome, la propria origine, la propria data di nascita, la propria appartenenza a una famiglia e a un luogo. Sostanzialmente, il non sapere a chi appartenere davvero. In fondo, chiunque di noi peregrina finché non ritiene di aver trovato il proprio spazio in questo mondo, sperando che questo ritrovamento non sia una illusione, ma una piega accogliente e affettuosa per la nostra vita.

Daniel ha conosciuto tanto, compresa la morte che parte da una pistola e fa della vita di un altro uomo un delinquenziale accasciamento per terra. Ha fatto tante scelte e ne ha dirottate altrettante, che avrebbero potuto condurlo – secondo i più – a una eventuale “vita tranquilla”. Daniel non è uno “sfigato” (anche se sembra che a lui ne capiti una più del diavolo…), è un uomo che vive di circostanze che non si assemblano perfettamente tra di loro. È un uomo buono e non solo perché, tra i furti che deve fare per entrare nel gruppo dei Grufus, sceglie come oggetto per sé “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry. È un uomo buono perché guarda gli altri, non solo nel senso organico del termine. Ma li guarda per davvero, poiché al di là di ogni barriera oculare possiamo affermare con convinzione che li sente, con un trasporto che poche volte è rintracciabile in chi non vive in questo romanzo ma interseca la nostra strada ogni giorno.

Daniel Vento sente gli altri, ma soprattutto sente se stesso. Riconosce la sua identità e le forme che la sua vita ha assunto nel tempo, scorgendone a poco a poco gli esiti.

Non ho ancora scritto che questo romanzo è una lunghissima ed emozionante lettera, scritta in un tempo finale, quando lo spazio di vita diventa un futuro di pochi giorni, in attesa dell’arrivo di una morte certa. Daniel scrive e nella lettera non fa sconti alle sue azioni, le definisce per quello che sono, le identifica per la crudezza che hanno, senza ambiguità o falsità alcuna. Ma non dimentica che se lui le scrive, qualcun altro dall’altro lato le leggerà e parlerà dentro sé di lui. Il personaggio non può che piacere anche per questo, per il suo essere ciò che è, senza appellarsi a qualsivoglia richiesta di perdono.

Il giovane scrittore Danilo Rinella è straordinariamente bravo, per una decina di motivi, ma ne esplico solo quattro: la sua penna disegna perfettamente le forme, anche fisiche, di Daniel Vento; parla di lui senza “capriccio della proprietà”, ma anzi con estrema autenticità; non bracca il lettore, facendogli assumere una traiettoria di coatto affetto per il protagonista; conosce l’animo umano, altrimenti non sarebbe capace di descriverlo così bene. Tutto sfumato, come si fa in un piatto succulento aggiungendoci il vino, dalla sua capacità di gestire in modo perfetto i concetti, non solo di descriverli. Il personaggio si muove, seppure a ritroso, lungo un viaggio di crescita anche interiore. Non è un uomo che, ripiegandosi su di sé, soccombe. È vero, alla fine muore (e mi dispiace svelarne il sigillo del romanzo), ma mi permetto di metaromanzare – forzando forse le volontà letterarie di Rinella – affermando che questo esito non è la cosa importante. Ma è la ricerca di sé, la crescita. Daniel cresce nel romanzo e nello spazio reale, assume finalmente piena consapevolezza, senza comunque condannare e negare la sua storia.

Non è un libro con una morale per finale, tutt’altro. In fondo, anche a Daniel qualche volta mancano le parole e, quando succede, esprime ciò che sente attraverso la poesia.

Concludo, poiché Daniel non ha bisogno di alcun panegirico (ancora meno del mio). Sarebbe troppo facile per me invitarvi a leggere questo libro, del resto il libro è stato accarezzato dalla mia cura editoriale, non potrei che parlarne bene. Ma dico con forza che conoscere Daniel è come conoscere un po’ se stessi, nel nostro senso, nel nostro significante, nello sguardo disincantato verso quel “lento scorrere senza uno scopo di questa cosa che chiami vita” (cit. Guccini).

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