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“L’urlo di un uomo ombra” di Carmelo Musumeci

13,00

BIOGRAFIE | Collana “Orme di inchiostro”
Pagine: 196
ISBN: 978 88 6300 102 0
Edizione: settembre 2013
Ristampa: gennaio 2014
Euro: 13,00
Formato: 15×21 cm

Esaurito

BIOGRAFIE | Collana “Orme di inchiostro”

L’urlo di un uomo ombra

di Carmelo Musumeci


Nota biografica

Carmelo Musumeci nasce il 27 luglio 1955 ad Aci Sant’Antonio in provincia di Catania. Condannato all’ergastolo, si trova ora nel carcere di Padova.  Entrato con licenza elementare, mentre è all’Asinara in regime di 41 bis riprende gli studi e da autodidatta termina le scuole superiori. Nel 2005 si laurea in giurisprudenza con una tesi in Sociologia del diritto dal titolo “Vivere l’ergastolo”. Nel maggio 2011 si è laureato all’Università di Perugia al Corso di Laurea specialistica in Diritto Penitenziario, con una tesi dal titolo “La ‘pena di morte viva’: ergastolo ostativo e profili di costituzionalità”. Nel 2007 conosce don Oreste Benzi e da allora condivide il progetto “Oltre le sbarre”, programma della Comunità Papa Giovanni XXIII.  Promuove da anni una campagna contro il “fine pena mai”. Nel sito web www.carmelomusumeci.com alcuni amici e volontari pubblicano i suoi scritti e il diario dal carcere.


Prefazione di Lucia Crisafulli

Quante volte ciascuno di noi si è fermato un attimo a riflettere sulla propria vita? Quante altre, contemplando, si è chiesto se questa avesse un senso?

Da domande comuni, da pensieri condivisi, dalla ricerca del senso sfuggente… Si possono intraprendere lunghi discorsi sul valore, sulla qualità delle relazioni, sul destino o sulle scelte che disegnano quotidianamente le linee di congiuntura tra ogni persona e i gironi della società.

Realtà diverse si ergono decise per filtrare il buono e il cattivo, e questa modalità selettiva assurge a canoni di necessità basati sul tacito consenso.

Le figure dell’eroe e del criminale, enfatizzate spesso in un senso o nell’altro, rappresentano i poli opposti nel grande sistema di convivenza sociale entro cui l’etichettamento si (im)pone come definizione dell’altro in termini di non ritorno.

La “costruzione” del mondo etereo, “puro”, che quasi santifica chi col suo comportamento viene proclamato eroe, è la stessa che, nel senso opposto, imprime il marchio indelebile da criminale a chi compie azioni delittuose, lasciandolo sprofondare in abissi di indifferenza ed esclusione. In entrambi i casi, il “titolo” viene assegnato tempestivamente, senza troppe riflessioni, senza chiedersi quali siano le cause che dirottano le azioni verso una direzione piuttosto che un’altra. L’identikit dell’uomo “comune”, quello che vive una vita “normale” fatta di desideri, istinti, sacrifici e “libertà”, è esito dell’integrazione di due diversi livelli di “costruzione” (individuale e collettivo) sperimentate quotidianamente nelle relazioni sociali. Da questo meccanismo “ordinario” sono escluse alcune fasce deboli della società, quelle ai margini, dimenticate per diffidenza o per indifferenza. Tra queste i detenuti, troppo spesso pedine senza voce e con poche speranze. Quasi nessuna.

Esclusi dall’etica della reciprocità, rinchiusi in una cella, con anima in corpo e un cuore che batte, gli ergastolani, e in particolare gli ergastolani ostativi, rappresentano il prototipo del criminale irrecuperabile, quello che merita di marcire in un non luogo, tra i vivi ma agli inferi, fino alla morte.

Carmelo Musumeci è un uomo ombra che ha intrapreso un percorso di crescita culturale e interiore, fino ad affermarsi come scrittore stimato da un’ampia platea.

Questa pubblicazione, tra le altre, vuole essere un “ritratto di vita” di Carmelo, tracciato attraverso parole dedicate, scritte, che si abbracciano in uno stile composito, autentico e spontaneo. Ma anche il tentativo di riscattare il pregiudizio pregnante che si accumula e si fonde, allontanando nell’immaginario collettivo la percezione del detenuto come persona comunque unica, insostituibile, portatrice di bisogni e soprattutto con una sua dignità.

Ed è proprio perché siamo ancora in molti a credere che, nonostante tutto, il diritto di riconoscere dignità a una persona non può essere violato, che nasce l’idea di pubblicare, oltre ai racconti noir sociali carcerari (come lo stesso Carmelo li definisce), anche poesie, lettere e alcune parti del suo diario, perché è dalle sensazioni vissute che si può comprendere l’uomo.

Il messaggio di fondo, ovvero il diritto di avere riconosciuto un “fine pena”, si dipana dalla sintesi dialettica dei desideri di amore, speranza, morte e vita, presenti in tutti gli scritti di Carmelo. Piuttosto che seguire l’ordine cronologico della stesura, la concezione di questo volume è stata incentrata sulla volontà di armonizzare quel filo conduttore immaginario, eppur concreto, rintracciabile in tutti i “momenti letterari” che lo caratterizzano.

La scelta degli intermezzi è voluta. L’impaginazione è stata strutturata senza effettuare delle vere e proprie “sezioni” tra diario e racconti, ma incastonandole, proprio per muovere il lettore verso una percezione più intensa e realistica dei contenuti.

Sospensione dei sensi, propensione alla coscienza: l’aritmia dello stile vuole essere input di conduzione verso una riflessione consapevole, che permetta finalmente a chi legge di addentrarsi senza remore nel mondo di Carmelo, nel suo presente, nel suo domani.

La malinconia, l’entusiasmo e le delusioni, non conoscono confini e barriere, né si arrestano al di fuori del muro, privilegio dei “non” giudicati.

Leggendo questo libro si comprende come la sofferenza accorcia la distanza tra le dimensioni di ciò che è percepito bene e male fino a infrangersi, a ribaltarsi, a sfondare i confini morali della giustizia (terrena). I racconti, spesso ispirati a storie accadute, palesano un’insofferenza cronica per la solitudine, un’assenza che annienta.

Queste pagine narrano di sentimenti, rivelano la forza dell’amore, l’importanza del sostegno della rete primaria e alludono alla mancanza delle piccole cose, quelle che l’uomo “comune” dà per scontate e quasi non apprezza più, come il profumo di un fiore, l’erba verde di un prato o un abbraccio affettuoso.

Tra i ricordi, e l’assenza di una vita “normale”, si scopre la ricchezza di un uomo che sa donare ad altri le sue emozioni. Che vuole condividerle e regalarle.

Ed è il tentativo di mettersi a servizio degli altri come risorsa, di lottare per i diritti negati dal grande sistema che del diritto fa il proprio baluardo, la prova più audace che Carmelo affronta quotidianamente, dimostrando di muoversi in una concezione etica virtuosa.

Ricordando quanto sancito in particolare dal terzo comma dell’art. 27 della Costituzione Italiana, «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato», nel caso dell’ergastolo ostativo, il diritto di una giusta espiazione della pena, si schianta sotto il peso di una vendetta sociale insaziabile.

La “rieducazione” si limita solamente a recuperare il soggetto per riadattarlo alla vita del carcere. E il recupero sociale svanisce tra le sbarre, in quel mondo estraneo, sterile, dove non c’è possibilità di riscattare l’anima.

“L’anima del condannato” si nutre ancora di speranza, si muove a tentoni in un mondo asettico, disinteressato, alla ricerca di germogli buoni da coltivare per rinascere.

Germogli di sostegno, d’interesse, di presa in carico; germogli di possibilità, di accoglienza, di aiuto, rintracciabili al di qua del muro, in ciascun uomo libero capace di perdonare.

Le dinamiche d’interazione sociale si consumano sovente restando passive, distanti dai bisogni della realtà carceraria. Abbattere il pregiudizio non significa concedere la grazia, né estinguere la pena, ma riconoscere ancora dignità alla persona, attivarsi per il suo recupero. Creare un ponte di solidarietà con ogni detenuto può far parte di un programma di recupero, finalizzato alla sua rieducazione effettiva ed affettiva, migliorandone la qualità della vita anche all’interno del perimetro carcerario.

Carmelo dà un grande esempio di umanità, rielaborata durante questi anni di esperienza detentiva. Ma la sua pena non finirà mai. Verrebbe da chiedersi allora: qual è il senso, se c’è, della vita di un ergastolano ostativo?

Da queste pagine si sollevano messaggi d’amore. Librano nell’aria e si diffondono. Fanno riflettere.

Lo scrittore ama e vive per amore. La sua anima si nutre ancora di quel bene che la famiglia non gli ha mai negato. E si rialza, ogni giorno, lotta, sostenuta anche dall’affetto e dalla vicinanza di chi crede nel suo cambiamento. Carmelo ha scelto di voler cambiare. Ma non potrà mai più dimostrarlo a una società che respinge possibilità altre e sceglie di essere miope.

La vita di un condannato non può essere sminuita da disposizioni e ruoli. E in carcere i germogli del bene si possono coltivare.

Per Carmelo, la bellezza di sentimenti puri non si dilegua dinanzi a una condanna, ma esordisce e si rigenera continuamente alla ricerca di parole che sappiano rivelarla.

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