SAGGIO | Collana “Orme di filosofia”
Il riscatto di Serse
Considerazioni inattuali sulla necessità del bene e del bello armonico
di Carmelo Eduardo Maimone
Prefazione del Prof. Giuseppe Rando
(Università degli Studi di Messina)
Il problema più inquietante, forse il più difficile da sciogliere, forse irresolubile: il problema dell’essere. L’essere è (Parmenide) o diviene (Eraclito)? Se diviene, viene dal nulla e torna nel nulla? È e non è, dunque, a dispetto del principio di non contraddizione?
O l’essere è il nulla, come Qoelet nel secondo secolo prima di Cristo e Giacomo Leopardi nel XIX secolo dopo Cristo affermarono? E come Nietzsche, più di mezzo secolo dopo Leopardi, ribadì? E sono tutte falsità, illusioni, mistificazioni le prospettive ultraterrene (metafisiche) della religione? «Dio è morto»?
Ma se l’essere è il nulla, come si spiega l’esistenza? Forse, l’essere è l’esistenza, l’esserci, come Heidegger sostenne risolutamente nel XX secolo? Sicché la «volontà di potenza», il superuomo («l’oltreuomo»), il «salto» dal baratro del nulla, sono residui della metafisica? Non resta, perciò, che accettare, con Heidegger, il metamorfismo incessante, privo di senso e di fondamento, dell’esistenza?
Contro questa desolante prospettiva prende posizione Carmelo Eduardo Maimone, mettendosi sulla strada di quattro insigni pensatori, che sono da lui direttamente convocati sulla pagina a interloquire tra di loro e con Serse (prototipo dell’uomo che cambiando, dopo la caduta, si salva), contro ogni logica spazio-temporale: 1) Giacomo Leopardi – il Leopardi del Dialogo di Tristano e di un amico, del Dialogo di Plotino e Porfirio, della Ginestra – cui la scoperta del nulla (esperita e mai rinnegata) tolse, sì, le illusioni religiose, politiche, metafisiche di cui si nutriva e si nutre gran parte dell’umanità, ma lo spinse a invocare, in alternativa, la solidarietà degli uomini, fragili, deboli, finiti, mortali (alla luce del materialismo illuministico) come unica arma per salvarsi dal nulla, dai misfatti della natura incurante; 2) Fëdor Dostoewskij – il Dostoewskij di Delitto e castigo – che crede nella risurrezione dopo la caduta nel peccato (nel nulla); 3) Ernst Jünger, che vede ancora possibile, per l’uomo, il superamento della linea dell’«interiorità» che ci salva dal baratro; 4) Salvatore Natoli il filosofo che del dolore, della fralezza della condizione umana ha fatto il fomite insostituibile dell’autocoscienza per l’uomo e il supporto fondamentale per la conquista di beni concreti, reali, tangibili (non ideali, né astratti, né metafisici) nella vita individuale e sociale.
Quanto dire, in altri termini, che Carmelo Eduardo Maimone ha drammatizzato una problematica eterna, tentando (nietzschianamente) di superare il solco che divide la scrittura argomentativa, specialistica, settoriale della filosofia, da quella creativa della letteratura: cercando, in altri termini, un punto d’incontro tra il codice saggistico e il codice teatrale, all’insegna della leggibilità.