ROMANZO DI FORMAZIONE | Collana “Orme di inchiostro”
Fiori in dicembre
di Carmelo Eduardo Maimone
Prefazione a cura di Giulia Carmen Fasolo
Il nuovo libro di Carmelo Eduardo Maimone non si allontana, se non nel genere letterario, dalle atmosfere filosofiche alle quali ci aveva già abituato con la precedente pubblicazione Autunnali rifrangenze, una silloge pubblicata per i tipi Smasher.
Così scrisse Shakespeare:
Romeo: «Io giuro il mio amore sulla luna.»
Giulietta: «Non giurare sulla luna, questa incostante che muta di faccia ogni mese, nel suo rotondo andare!»
Nello struggente romanzo Fiori in Dicembre, Maimone racconta l’amore fra Marco e Sofia, narra dei moti della loro anima, canta la gioia che si può provare nel toccarsi reciprocamente la pelle. I baci fugaci e le carezze vellutate sono riferiti attraverso languidi sussurri.
Ma cos’è l’amore? Cos’è quella forza che ci investe, ci prende con sé e sembra non lasciarci più? Perché poeti, scrittori, filosofi, artisti in genere ne cantano da secoli e secoli le bellezze e i dolori? La ricerca del senso dell’amore è, dunque, il leit motiv più ricorrente nella vita di ogni uomo, saturo dicotomicamente di passione e di affanno.
Avere con sé una persona responsiva e capace di prendersi cura di noi, per amore appunto, è uno dei bisogni primordiali dell’uomo, lo accompagna fin dalla sua nascita. Studiosi e psicologi furono immersi, non invano, nelle speculazioni attorno all’innato bisogno di ricevere amorevoli cure materne (Winnicott, Spitz, Bowlby, etc., solo per citare alcuni).
Nell’età adulta, incontrare una persona con la quale condividere la propria vita è quasi un’esigenza indispensabile, è una necessità oltre che fisica, anche dell’animo.
Per tale ragione, l’amore è stato da sempre il sentimento maggiormente decantato dai poeti, scrittori e artisti di ogni epoca, declinato in milioni di modi possibili.
Ciò che accomuna tutti coloro che ne hanno narrato le pieghe, pur essendo attraversati da distanze temporali e spaziali, è l’aver scritto pagine che non decantassero soltanto la bellezza dell’amore, ma ne rappresentassero anche il criptico rapporto fra i due amanti, a volte sottomesso dalla passione impetuosa, altre volte dalla delicata dolcezza. Altre volte ancora dalla gelosia e dal dolore e senso di abbandono per un sentimento non corrisposto.
Già Catullo, poeta latino, nella sua famosa opera Odi et amo, aveva poetato la tormentata contraddizione che viveva nel suo animo:
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
Odio e amo. Per quale motivo io lo faccia, forse ti chiederai.
Non lo so, ma sento che accade, e mi tormento.
Catullo amava profondamente Lesbia. Il suo non era affatto un eros paidikòs (amore per i fanciulli), ma un sentimento fondato dal foedus, cioè da quel patto d’amore che partiva sì dal concetto di amore, ma si allargava a tutti gli altri infiniti possibili. Era composto dal bene, dal desiderio, dalla stima, dal languido sogno, dal bruciante bisogno di baciare e toccare l’amata, ma anche dall’imbarazzo e dalla necessità contrapposta di difendersi da tutto questo.
Così è il sentimento di Marco per Sofia e così si dipana nelle pagine di Fiori in Dicembre di Maimone: amare e lasciarsi andare oppure sottrarsi alla tempesta dei sentimenti? Cosa sceglieranno i due protagonisti e come vivranno la loro scelta?
Similmente, anche Anacreonte raccontò del suo tormento, dello squarcio dentro al suo cuore:
testogreco pref maimone
Amo e non amo,
sono pazzo e non sono pazzo.
Anche tragediografi greci, come Sofocle, hanno narrato i tumulti dell’io dovuti alla tempesta dell’amore (come dimenticare i tormenti di Elettra?).
Facendo un grande salto temporale, si parla di amore anche nel Dolce Stilnovo, con poeti come Guinizzelli (Al cor gentil rempaira sempre amore […]) e Cavalcanti ([…] elli mi conta sì d’Amor lo vero, /che ogni sua virtù veder mi pare / sì com’ io fosse nello suo cor giunto), con i loro sonetti dove si esalta la bellezza della donna e del suo sguardo.
Ancora. Dante Alighieri ipotizza, nell’opera Vita nuova, che l’amore sia un’immensa forza capace di elevare l’animo umano e di condurre l’innamorato fino alle sfere celesti. Solo concentrandosi sull’amore per Beatrice e distogliendo lo sguardo da altre donne, egli pensa di poter raggiungere Dio. Beatrice è una figura angelica, quasi un’immagine dotata di sacralità, capace di purificare Dante, aiutandolo ad elevare i propri sentimenti. Lui stesso, stordito da questo amore, riesce a non amare altro e altra, neppure dopo la morte di Beatrice. Ecco che qui, con Alighieri, l’amore supera ogni barriera di tempo e di spazio, ogni confine fisico e metafisico, perché la sua funzione ora è il fondamento di una tanto agognata eterna salvezza.
L’amore è una forza così vigorosa, che nessun uomo riuscirà a sfuggire da essa. Per capirlo, ci aiuta ancora una volta lo stesso poeta-scrittore, raccontandoci la storia di Paolo e Francesca che, leggendo Lancillotto e Ginevra, si lasciarono trasportare in un appassionato bacio che però li fece finire all’Inferno.
Petrarca lascerà, invece, che la sua donna torni terrena. Passerà la vita contemplando la sua passione amorosa per Laura, quell’irresistibile travolgimento che sente dentro di sé sapendo che non potrà mai amarla in modo completo. Resterà per lui un amore mai appagato, una sofferenza che non troverà mai pace, ma avrà certamente le sembianze del bisogno terreno, quasi del contatto peccaminoso.
Con Boccaccio, ancora, l’amore assume un altro aspetto. Nel Decameron lo scrittore lo rappresenta come una forza invincibile, a cui nessuno può sottrarsi, da cui non ci si può difendere, anche se può provocare brucianti delusioni.
Ma l’amore è anche quella forza capace di soggiogare tutto, rendendo talune volte l’uomo folle, come nell’Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo (Io, che stimavo tutto il mondo nulla, senza arme vinto son da una fanciulla) e nell’Orlando Furioso di Ariosto, all’interno del quale il protagonista si riduce alla pazzia per l’amore e la gelosia che prova per Angelica.
Potremmo continuare all’infinito, ma tali esempi appaiono sufficienti. L’amore è, dunque, un sentimento totalizzante, che ci sorprende alla bocca dello stomaco e la chiude in un morso che non ci lascia pace se non permettiamo alla sua forza di esplodere.
L’amore è quell’intenso sentimento di affetto, di inclinazione interiore e di passione verso qualcuno o qualcosa, che travolge il nostro animo e la nostra natura umana. Non possiamo che accettarlo, senza altre barriere. Qualsiasi forma esso assuma: verso un amico, un genitore, un amato o un’amata, o infine esplodendolo nell’arte. Così è l’amore di cui narra egregiamente Carmelo Eduardo Maimone. Un amore che supera anche le contraddizioni, che ricorda la poesia più aulica, che ne fa ravvedere la purezza dei sentimenti. Pur rilevando apparenti contrasti fra i due protagonisti (Marco più etereo, immerso nei suoi libri che arricchiscono le pareti del suo studio; Sofia più fragile, più legata alla materialità della quotidianità e della gelosia), l’amore esce come un vortice dalle pagine di questo libro e si presenta a noi in tutta la sua maestosità. Ci colpisce in pieno volto, ci inchioda ad un’unica e sola verità: l’amore, se ci prende, ci governa.
Questo romanzo può essere letto in diversi modi. Se il contenuto, già ampiamente suggerito attraverso una trattazione (pur poco efficace, perché sintetica) sull’amore, è chiaro ormai a tutti; lo stile con cui viene scritto non confonde il lettore che ritrova la tipica capacità di narrare di Maimone. Numerosi i tratti in cui il romanzo assume la forma di poesia e non solo nei versi che qui e là, tra i vari capitoli, emergono. È lo stesso amore che viene vestito di poesia, la stessa urgenza dell’amata e della sua presenza vengono tradotti in parole e frasi delicatamente poetiche.
Maimone ancora una volta riesce a mescere, con arte, numerosi registri: da quello tipico della narrazione (il plot viene dipanato con bravura) a quello filosofico-umanistico.
In questa prefazione non possiamo raccontare l’epilogo di questo amore, perché forse neppure questo è lo snodo della storia raccontata dall’Autore. Qui, semmai, possiamo concentrarci sulla forza divampante di una passione, che emerge e non lascia scampo. Marco resterà nella nostra testa, anche dopo aver chiuso l’ultima pagina del libro, avvinghiato all’idea dell’amore, a quella promessa eterna, perché solo la pelle di Sofia gli ha sussurato emozioni e sensazioni eterne. I sensi non sono quelli della percezione materiale dell’esistenza, bensì sono quelli che narrano – e ci riescono – quello che vive dentro di noi e aspetta l’altro o l’altra per incontrarci.
Carmelo Eduardo Maimone non delude il lettore e non viene meno alla sua funzione narrativa: raccontare la bellezza. Ancora una volta, prosa, poesia e musica si innalzano per raggiungere un unico obiettivo: narrare non la materialità delle cose, né solo il tempo che passa inesorabile addosso a noi e alle nostre storie, ma l’eternità di un amore che ciascuno di noi, dentro di sé, sogna e spera prima o poi di incontrare.
John Keats scrisse:
Non posso esistere senza di te.
Mi dimentico di tutto tranne che di rivederti:
la mia vita sembra che si arresti lì,
non vedo più avanti.
Mi hai assorbito.
In questo momento ho la sensazione
come di dissolvermi:
sarei estremamente triste
senza la speranza di rivederti presto.
Avrei paura a staccarmi da te.
Mi hai rapito via l’anima con un potere
cui non posso resistere;
eppure potei resistere finché non ti vidi;
e anche dopo averti veduta
mi sforzai spesso di ragionare
contro le ragioni del mio amore.
Ora non ne sono più capace.
Sarebbe una pena troppo grande.
Il mio amore è egoista.
Non posso respirare senza di te.