POESIA
Aderenza
di Antonella Taravella
COPIE ESAURITE
Antonella Taravella nasce a Verona il 2 marzo 1977, dove vive e lavora.
Nel 2010 entra a far parte della Redazione delle Edizioni Smasher, diventando in seguito Direttore della Collana “Orme di Poeti”.
Nel 2012 crea Words Social Forum, sito di cui è capo-redattore.
Quattro le sillogi pubblicate:
-Gravida è la notte (Ed.Lulù, 2008)
-Vertigini Scomposte (Ed.Smasher, 2009)
-Sbocciata nelle viscere (Ed. Smasher, 2011)
-La neve sulla porta (Ed.Lulù, 2012)
Tra i concorsi più significativi ai quali partecipa con ottimi risultati:
-Donna… sulle tracce di Eva, dell’Associazione Culturale “Il Faro” e “Viavai”, 2009 classificandosi finalista;
-Premio di Poesia “Lorenzo Montano”, dell’Associazione Culturale “Anterem” con Menzione d’onore, 2009;
-“1° edizione del premio di poesia e narrativa VILLA TORLONIA”, dell’Ass. Culturale Gippi e Giulio Perrone Editore, ed 2011, finalista e vincitrice del Premio;
-Premio Renato Giorgi, dell’Associazione Culturale “Le Voci della Luna, 2012, 3° classificata nella sezione A;
-Premio di Poesia “Lorenzo Montano” ventiseiesima edizione, dell’Associazione Cultutale “Anterem”, con Menzione d’Onore, 2012.
Prefazione di Donatella Vitiello
C’è chi scrive con l’intenzione di rappresentare qualcosa: non è il caso di Antonella. Lei ha bisogno, in primo luogo, di proteggersi dalle parole con le parole, tratteggiando un cerchio perfetto attorno al nervo scoperto che vibra. La lingua è uno strumento che le consente di farsi una pelle nuova con toppe di senso; l’ago è la carne, il filo è lo sguardo. La perizia di questi barocchismi del corpo parlante, è una fatica disumana nella cui necessità estrema si può morire: la bellezza si farà con torri di sassi oscillanti, echi di incontri, scampoli di versi altrui, stralci di missive mai inviate.
D’altro canto, c’è della violenza sotto le parole di Antonella, che raccoglie ciascuno dei suoi fallimenti e lo scortica. È l’urgenza di esplorare le fessure fra i pezzi di vita irregolari, che sono il costume da clown di una poetessa buona e triste, per penetrare la struttura ingombrante della propria memoria – densità di carne, di rinuncia, di desideri-embrione da soffocare nel silenzio di organi sognanti. Il corpo bianco di una poesia esplosiva si lascia ferire dalla parola dell’altro, dell’altra che è sempre Antonella e che si perseguita fino alla tortura. È la memoria di molti, che ha una sola voce, lama e carezza alla sagoma di un destino sempre trascorso, ostile, un destino-femmina che trasmuta continuamente per sopravvivere a se stesso.
Il paesaggio stesso in cui la voce – solitaria – si innesta, non è che un tessuto di parole, che creano gli spazi attraversati dalle presenze inafferrabili. Il silenzio è il fondale su cui amore, amicizia e tutto ciò che assume il volto atterrito della perdita sembrano esaurirsi in se stessi.
Il coraggio di un’opera, sorge soprattutto dalla sua impossibilità. Antonella è disarmata, di fronte al proprio bisogno di dire le ferite che friggono sotto la pelle nuova, che continua tuttavia a comporre con frammenti di un immaginario lussureggiante e naufrago. L’eroismo di questa scrittura consiste nella qualità paradossale del suo compimento: l’impraticabilità della parola poetica [ricominceremo a nutrire il verso / quando la perfezione delle nostre bocche / sarà una cucitura / un punto e a capo].
Accade anche in Quest’assolo di voce, dove viene a cadere ogni possibilità di contatto, in un desiderio dell’altro che non ha séguito né reciprocità; la potenza risiede nella circolarità della voce che, implodendo, perpetua se stessa:
io sono nessuno / nemmeno quel vento che piega le foglie / quella mano di silenzi / con cui imbiancherò le mie stanze di notte / si spezzano cardini / la porta sbatte furiosa / ed io sono sempre sola / a pelle mi manca l’assolo di una voce / [e tutto questo sfonda le mie pupille]
L’immagine di un bozzolo, che ricorre continuamente in tutta la silloge, fa del mondo l’insistenza immanente che chiude il cerchio attorno alla figura narrante, sempre in-voluta, chiusa nella postura del sogno, costantemente rannicchiata al centro delle proprie paure.
Di contro, la necessità spasmodica del taglio, della liberazione, fa da controcanto a questa chiusura e le coesiste. La carne, all’interno del sogno, è reale. Sofferta, lacerata, straziata dal fantasma dell’altro, costituisce un corpus che si svela finalmente per quello che è, emergendo dalla sua maschera di parole.
La lingua fa l’amore con lo spazio: uno spazio che resta proibito anche quando lo si attraversa, ma che per questo è necessario calcare per incidere una falla nell’indicibilità. Le parole continuano a sfumare in forma sempre nuova nel mistero inafferrabile degli sguardi passati, presenti e futuri, nonché delle relazioni di senso.
La scrittura di Antonella, aderendo assolutamente al suo spazio immaginifico, possiede una qualità sotterranea, oscura, di cui è impossibile tentare la critica.
Antonella è, di fatto, la sua opera. Ecco perché non (si) può rappresentarla.