Premio “Ulteriora Mirari” / Poesia 2012
Volti dell’acqua
di Anila Resuli
(Opera vincitrice sezione Letteratura in fasce)
COPIE ESAURITE
Nota biografica
Anila Resuli è nata in Albania nel 1981, pubblicata su numerose riviste nazionali e internazionali, è presente in raccolte collettive quali: Nella borsa del viandante. Poesia che (r)esiste a cura di Chiara De Luca, 2009; nell’antologia di poesia ceca ed italiana Dammi la mano, gioia mia. Podej mi ruku, radosti moje Praha, Vicenza 2010; Sempre ai confini del verso. Dispatri poetici in italiano, Éditions Chemins de tr@verse, Francia 2011. È stata tradotta in portoghese per la rivista di San Paolo “Celuzlose N°5”, dalla poetessa Prisca Agustoni. Collabora a progetti di poesia con diversi poeti contemporanei ed è traduttrice di poesia albanese contemporanea. Nel 2009 fonda la prima editrice di ebook online Clepsydra Edizioni. Nel 2010 scrive la prefazione al libro Sulla via del labirinto di Alessio Vailati, edito da L’Arcolaio.
Prefazione di Paolo Fichera
Dentro la nascia
… qui respira la terra prima ancora che tu nasca
Una donna di 30 anni affronta a ritroso con il supporto di una memoria, sempre fallace, e di una lingua, non di origine, il viaggio compiuto 14 anni prima dall’Albania all’Italia. Un poeta dedito alla poesia corporale spezza un percorso che pareva immutabile e depone una spina in terra per poterla calpestare e sentire dolore, accettando di dire quel dolore. Un nuovo tema (il viaggio senza il corpo), una nuova lingua ancora (non più il verso libero e fecondo, ma l’endecasillabo ferreo e fecondo), un’opera organica (non più poesie sparse)… Perché? Immettere Volti dell’acqua nell’alveo della poesia della migrazione è quanto di più semplicistico ci possa essere. Del resto gli elementi ci sono tutti: un viaggio della speranza, un’autrice albanese che scrive in italiano, una nuova lingua per costruire così una nuova terra. Queste considerazioni aprioristiche, queste domande legittime perdono importanza leggendo i primi versi della prima poesia. In questo poemetto che racconta un viaggio e dove più forte è il sangue di chi scrive, proprio qui noi lettori scopriamo che in questi versi manca la prima cosa che ci aspettavamo di trovare: l’identità. E soprattutto manca la volontà di costruirsi un’identità. Il titolo Volti dell’acqua è lì che parla e dice tutto: non un viaggio ma più viaggi, non un volto ma più volti, non una lingua ma più lingue e volti e lingue e sangue che appartengono non a una terra ma all’acqua, alla mobilità, allo scorrere, al movimento, a chi si specchia in una superficie sempre diversa, mai fissa, che spezza i contorni se toccata (“…il tempo ammaestri, poi guardi/fissi distanti, coi volti dell’acqua,/la terra tace ormai lontana.”). È una creatura d’acqua che parla “…pelle resa/morbida d’acqua, bambina.” nella poesia che introduce il viaggio, una poesia che è il prologo e l’epilogo dove Anila Resuli mette in scena gli elementi di questo flusso: pelle, bambina, corpi, pupilla, nascita, padre. E quel tu che il poeta usa come richiamo è un io che sempre rimbalza, un io che è madre, altri volti, un io che è padre, un padre vero, fisico, che ha ferito e ferirà, un padre terra e guerra, dove “si presta alla tua guerra,/alla mia, già alle vene dove scorre/denso nel sangue il male”. E questo male “si riversa/nella radice, come linfa scura”. E male è la parola chiave (anche se usata soltanto una volta da Anila Resuli in tutto il poemetto). Un male che si fa grembo e ferita e che rende il bisogno di appartenenza a un amore, a una terra, a una lingua un bisogno che non può essere soddisfatto mai pienamente, mai per sempre. Anila Resuli, per affrontare il suo viaggio nel male e se stessa, non fortifica la propria voce rendendola peculiare, affinandola fino a farne non linguaggio ma lingua, ma affronta il suo mare/male con tutte le voci a sua disposizione, voci proprie e di altri personaggi come volti in scena (“nel volto i volti”) perché la costruzione della propria identità è una meta non voluta, non necessaria, una meta immancabilmente mancante e mancata. Il poemetto è suddiviso in blocchi preceduti da epigrafi che danno al lettore le indicazioni geografiche e temporali indispensabili per orientarsi. Così sappiano l’inizio del viaggio: Vlorë (Valona, Albania), 1997, 15 marzo, ore 13:30 e la sua fine a Porto d’Otranto alle 6:30; sappiamo di 16 ore in mare, di avvistamenti di elicotteri, di imbarchi su petroliere russe, su motoscafi della Guardia di Finanza… sappiamo di una ragazza che non chiede e non domanda ma vede, che decide a 16 anni che la sua lingua sarà bianca, senza perdono, che resta perché deve restare, oltre il vomito, la violenza e la paura di una morte prematura, di 59 persone esuli, della preghiera di un padre, di mani che sanno pregare e colpire, di chi cerca un nido nella voce di chi l’ha generata, di chi porta con sé “…il rumore, la risacca,/la forma d’onda fissa nel tuo grembo,/porti l’odore, la fiamma, l’assenza/della luce, l’orrore qui nel cuore.”, di chi scriverà di tutto questo senza ricordo né commiserazione, per amore.