“Gli angoli” di Sebastiano A. Patanè Ferro

10,00

POESIA | Collana “Orme di poeti”
Pagine: 66
ISBN: 978 88 6300 064 1
Edizione: giugno 2013
Ristampa: giugno 2021
Euro: 10,00
Formato: 14,8×21 cm
Rilegatura: brossura fresata a folio

POESIA | Collana “Orme di poeti”

Gli angoli (aprono i loro acuti per ingoiarci)

di Sebastiano A. Patanè Ferro


Note biografiche

Sebastiano A. Patanè Ferro nasce a Catania nel 1953 sotto l’acquario di febbraio. Fin da giovanissimo coltiva la passione delle lettere che comincerà a sviluppare con impegno negli anni Ottanta quando fonda il centro culturale e d’arte “Nuova Arcadia” salotto di poesia e sede di numerosi reading.
A Torino, nel 1973, conosce la giornalista scrittrice Giuditta Ansante Dembech che, in un giudizio critico, smonta tutta l’impalcatura poetica costruita sino a quel momento. Su suggerimento della stessa, comincia a leggere Hemingway, ma ben presto seguirà il suo istinto indirizzandosi a Garçia Lorca, Pasolini, Pavese. Nel 1974, sempre a Torino, soccorre, ma non riesce a salvare Marta, una ragazza perugina trapiantata in quella città. La vicenda lo trova talmente coinvolto emotivamente al punto che su questa storia imposterà gran parte della struttura poetica e, successivamente, narrativa. Diversi sono i testi esplicitamente dedicati a Marta.
Nell’aprile del 1983 il suo primo reading di poesia presso il centro culturale “La Crisalide” dove conosce il poeta Filadelfo Coppone che lo inserisce nell’ambiente letterario catanese. Da lì a poco dirigerà, assieme a Coppone il centro culturale organizzando manifestazioni d’arti visive, musica ma, soprattutto, letture di poesia che portano alla Crisalide molti artisti e poeti di gran talento.
Presente in diverse riviste e antologie nazionali e internazionali (Silarus, Il Pungolo verde, Pangosmia Synergasia, Literaturnaja Gazeta, ecc.) del periodo, nonché diverse pubblicazioni sul quotidiano catanese “L’espresso sera”, alla fine del 1988.
Nell’Aprile del 1989 si separa dalla moglie, nonostante i numerosi tentativi, da ambo le parti, di trovare un punto d’accordo.
In seguito a questo avvenimento di portata devastante, chiude “Nuova Arcadia”, abbandona la scrittura e l’arte e comincia a viaggiare per il mondo, ma non saranno viaggi di piacere, bensì una sorta di fuga da una realtà dalla quale sa di non potersi nascondere. Questo “vagabondare” lo porterà in giro per l’Europa (soprattutto Germania e Francia) e in Spagna, dove rimarrà per oltre sei mesi. Qui, seppur sprofondato nella dimensione dei suoi poeti preferiti, non riuscirà a vincere quel blocco poetico che lo attanaglia.
Rientra in Italia nel 1991 e lavora come attrezzista alla scenografia del Teatro Massimo Bellini di Catania.
Di ritorno dalla Spagna, sostenuto dalle impressioni fortissime afferrate girando in lungo e in largo l’Andalusia, scrive, per innamoramento, Luna & dintorni che fa stampare in volume autofinanziato. Scrive L’Orto degli ulivi un testo teatrale esistenzialista che egli stesso dirigerà portandolo fino alle prove generali ma non andrà in scena per una serie di situazioni esterne che lo porteranno, a metà del 1995, a dimettersi dal teatro e a partire alla volta degli Stati Uniti. Negli States esprimerà la sua poesia in forma di scultura, lavorando su un’oggettistica per negozi di notevole livello, curando personalmente le strutture artistiche di ristoranti, negozi vari e ville. Pregevoli le istallazione dei supporti decorativi del negozio di scarpe Otto Tootsie Plohound nel Midtown e del ristorante Scratch a Soho, nel downtown di Manhattan nonché di alcune ville nel New Jersey, in Pennsylvania e a Staten Island.
Un ingaggio presso i cantieri navali di Turku lo porta in Finlandia nel 2004 e lo terrà impegnato per altri sette mesi. Da lì, prima di rientrare nella sua città, anche per motivi di salute, si sposterà nei paesi baltici, fermandosi un paio di settimane a Tallinn in Estonia e poi in diverse città della Russia soprattutto a Mosca dove si fermerà circa venti giorni. Da questo viaggio porterà con sé la magia del Nord Est europeo che lo influenzerà parecchio nella nuova prossima scrittura. Verso la fine del 2007, grazie a Internet, ai forum di poesia ma, soprattutto a persone come Daniela Casarini e Walter Vetere (Orme del Caos), riprende a scrivere con l’intenzione di non smettere più. Personaggio di rilievo, in questa sua ripresa, è senza dubbio Francesca Coppola con la quale si avventura in duetti poetici, spesso estemporanei e di notevole livello.
Nel 2010 la Clepsydra Edizioni di Anila Resuli pubblica la raccolta Poesie dell’assenza in formato e-book.
Presente anche nell’antologia Fragmenta del premio Ulteriora Mirari, organizzato e gestito dalla Smasher Edizioni.
Nel 2011 traduce Concha Méndez Cuesta, Delmira Augustini e Miguel Hernández ma pubblicherà solo la Cuesta su WSF, Blog collettivo ideato e gestito dall’amica Antonella Taravella.
Nel Giugno del 2012 un incidente stradale, per la sua gravità e anche per le conseguenze disastrose sul profilo economico, lo tiene bloccato e lontano dall’ambiente artistico per quasi un anno. Ciononostante riprende e completa Ho incontrato un angelo, un racconto autobiografico scritto nel 1992. Sempre nello stesso anno scrive Del tempo che si muove appena un volume di poesie che raccoglie diverse espressioni del poeta che vanno, dal sociale, alla poesia d’amore. Partecipa a diversi reading nei dintorni della sua città, grazie alla presenza di amici come Sebastiano Adernò, Antonella Taravella, Daìta Martinez che lo incitano a trovare la forza per riprendere.
Nei primi mesi del 2013 scrive Marta il racconto biografico basato sulle vicende del 1974.
Attualmente, sue poesie sono rintracciabili su diversi autorevoli blog tra cui Poetarum Silva, La stanza di Nightingale, Il giardino dei poeti, Larosainpiù e Neobar. Gestisce due blog di poesia contemporanea: “Le vie poetiche” e “La casa senza tempo”, oltre ai suoi blog personali quali “La cava della parola” e “Sciaranera”.


Prefazione a cura di Anila Resuli

Divisa in due parti, composte, la prima da 15 e la seconda da 24 poesie, la silloge di Sebastiano A. Patanè Ferro si presenta come un percorso interiore che oscilla tra i tempi verbali di passato presente e futuro, toccando temi diversi che attraversano condizioni alterne dell’animo poetico. La condizione predominante dell’io poetico all’interno di queste poesie è senza dubbio la solitudine, vista non tanto come una presenza negativa nella vita del poeta, quanto una condizione necessaria per valutare quanto nell’io rimane e perdura il ricordo, prevalentemente buono, dell’insieme di attimi e momenti vissuti con persone, luoghi, silenzi, rumori. L’io poetico di questa raccolta non solo si domanda se il passato contiene un’impronta positiva, seppur malinconica, da trattenere dentro, senza poterla dimenticare, ma cerca in questo passato delle corde e degli appigli per potersi proiettare nel futuro. Giocano questo ruolo, oscillando tra passato e futuro, il conscio dell’io poetico e l’inconscio dello stesso, che tratteggia nei personaggi poetici sia attimi del mondo visibile, sia quelli legati al sogno, alla fiaba.

«Vieni passato, vieni a riempire questi occhi che non tornano alla conta / […] gelosi della luce» (# 6 dell’assenza.)

Patanè non si aspetta un passato che fugga, ma si aspetta piuttosto un passato che ritorni, che sia sempre presente, perché sembra che il passato possa portare con sé solo cose buone, dove il poeta s’incontra con un vero e proprio scrigno che contiene attimi preziosi. In questo lavoro di ritorno del passato non vi è la rimozione, seppur nell’assenza sembra esserci il dolore, ma vi è la ricerca del prendere atto che quanto è stato, abbia un perché.

«Sentiamo cos’ha da dire […] / Jonathan Livingston che avrebbe voluto riportare lui il rametto d’ulivo» (# 4 dell’assenza)

Si riconosce qui il desiderio inconscio di identificarsi con questo personaggio di Richard Bach, sempre alla ricerca della perfezione del volo: nella poetica di Patanè la ricerca della perfezione può essere identificata con il capire il profondo senso dell’assenza, di come il passato possa essere stato sviscerato ed essere “il qui e l’adesso” un modo completamente estraneo rispetto ad allora. Predominano in questa poetica le due figure principali, ovvero l’Io e l’Es freudiano, ovvero il principio della realtà e quello del piacere, sogno. L’incontro tra i due è difficile e provoca nel poeta uno scombussolamento e spesso questo ricorda al poeta il sacrificio:

«solamente il soffitto sa del sacrificio / e la mia carne» (Le parole)

L’io quindi vivendo l’assenza del passato quasi si dimentica dell’Es. Questo lo porta a cercare fortemente l’incontro tra passato e presente per potersi (ri)conoscere di nuovo. È una ricerca incessante per il poeta questo incontro.

«ma questa vastità di niente / dove ogni cardine si perde» (# 9 dell’assenza)

Più cruda, la seconda parte del libro, trascina il poeta in un duo amoroso, un arricciarsi stretto di parole verso un’amata che manca, o che è assente. Si nota ad ogni poesia la disillusione, la ricerca della verità di ogni momento, la cancellazione della perdita, il trascinamento di un ricordo ancora vivo. Eppure nel ricordo permane la rassegnazione forse? Questo abbarbicarsi in quello che è stato e che non sembra neanche più vero e possibile.

«come se – talmente è lontano – non fossimo mai stati veri / è una dimenticata mano o un muro» (è un muro – vedi – che si separa)

La separazione continua a fare da nodo lungo i versi, diventa come una cadenza di passi necessaria nella raccolta, un ritmo costante e conteso tra presente e passato, assenza e ricordo. Ma nell’assenza non vi è la rassegnazione come fine ultima del dispiacere della perdita, ma vi è anche il superamento del dispiacere, il superamento del dolore. Il poeta è conscio della perdita e nel dolore fa un quadro poetico che rimanga, come un’impronta di un passato che non è solo assenza, ma diventa un nodo necessario per la propria esistenza.

«la luce ridotta a pallore mi trattiene legato all’àncora / di questa maledetta dissolvenza che annebbia» (quando si sollevarono in volo i corvi lasciarono grani di nero tutt’intorno)

L’assenza porta con sé il desiderio di distacco da un dolore che ha messo radici dentro. Ora la solitudine, come all’inizio della silloge, ritorna a farsi viva. Questa volta però vi è una consapevolezza diversa. Qui la solitudine non è cercata ma un presente obbligato da un passato strappato a forza. L’io qui non ha delle scelte, ma è colui che subisce la perdita, costringendosi ad accoglierla, senza poter dire altro.

«sarà la corsa verso un niente che impressiona / un brindisi senza vino né bicchieri fatto da fantasmi» (c’è odore di chiuso nonostante la bella luce)

Così conclusa la silloge di Sebastiano A. Patanè Ferro racchiude i volti della stessa, i fantasmi del passato che resta fermo a guardare il poeta, il ricordo e quant’è rimasto dello stesso nella quotidianità di una vita ormai del tutto cambiata.

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